EVITARE IL “POETESE”
Le parole da cui siamo circondati, spesso, sono poco portatrici di senso.
La poesia ci salva dal contagio dei luoghi comuni.
Lo fa grazie ad alcuni superpoteri…
ATTENZIONE! Evitare il “poetese”…
A volte si tende a invertire il normale ordine delle parole (anastrofe), pensando che ciò renda il linguaggio più poetico, ma non è detto.
Occhio ai tic linguistici, alle parole “belle” e “poetiche” ma prive di intensità, come le metafore più abusate. Al contrario, non dobbiamo aver paura di usare la lingua di tutti i giorni, una lingua “sporca” ma viva.
Ad alcuni piace la poesia
Ad alcuni –
cioè non a tutti.
E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.
Senza contare le scuole, dove è un obbligo,
e i poeti stessi,
ce ne saranno forse due su mille.
Piace –
ma piace anche la pasta in brodo,
piacciono i complimenti e il colore azzurro,
piace una vecchia sciarpa,
piace averla vinta,
piace accarezzare un cane.
La poesia –
ma cos’è mai la poesia?
Più d’una risposta incerta
è stata già data in proposito.
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
come all’àncora d’un corrimano.
Wislawa Szymborwska, Traduzione di Valentina Parisi, La gioia di scrivere, Adelphi
Ecco una poesia ragionamento, scritta in una lingua semplice, di tutti i giorni, che privilegia la chiarezza e la comunicabilità, con molti guizzi d’ironia.
Un altro elemento è la concretezza: più le parole danno appigli concreti, più riescono a esprimere senso.
Uno dei superpoteri della poesia è creare immagini forti, dense di significato (l’àncora d’un corrimano).
Anche se i versi sono liberi e non rispettano regole metriche tradizionali, Szymborwska ha dato una forma alla sua poesia, costruendo un andamento a blocchi, una sorta di disegno geometrico.
Con la traduzione perdiamo l’effetto sonoro, ma notiamo l’effetto ritmico dovuto alla reiterazione (anafora): “piace…”
Poesie come questa possono diventare per noi modelli di scrittura.
Non si tratta di copiare, ma di entrare nella voce di qualcun altro. Questo può farci scoprire territori sconosciuti, o parti di noi che di solito non esploriamo.