CAMPO DI CARNE
Jordan Moore era uscito presto dall’officina di riparazioni del Sig. Smith, quel venerdì sera. Il proprietario era un brav’uomo, e capiva quando un giovane aveva bisogno di sfogarsi un po’, specie in tempi come quelli. Ogni giorno qualcuno partiva per la guerra, e nella contea di Walworth c’era un clima di attesa e tensione.
II postino di Elkhorn era conscio dei sentimenti che aleggiavano al suo passaggio. Madri, mogli, le donne della cittadina, spiavano il suo arrivo dietro le tendine delle finestre e, mentre alcune si precipitavano a ritirare la posta, altre rimanevano in attesa per ritardare il momento in cui avrebbero visto una busta del Ministero delle Difesa.
Jordan passò dalla ferramenta, anche se non aveva nulla da comprare, ma qualcosa avrebbe trovato, pur di vedere Eleanor dietro la cassa e sperare in un suo sorriso.
Quella sera c’era in programma un gran ballo al Dancing Horses, sulle rive del lago Geneva, e il ragazzo sperava di incontrarla.
Alla fine si avvicinò alla cassa con un pacchetto di viti.
“Ciao, pago queste. Spero di vederti stasera, giù al lago.”
“Ci sarò, Jordan, se riuscirò a far partire il mio macinino.”
“Se hai problemi, posso passare a prenderti…”
“Grazie, accetto volentieri, non vorrei rimanere per la strada…”
Jordan uscì dal negozio in stato di grazia… non avrebbe sperato in una simile fortuna, visto che la ragazza, attorniata da ammiratori, in genere non dava corda a nessuno.
Mentre metteva in moto, si accorse di cantare a squarciagola: i clienti che andavano e venivano lo guardavano interdetti.
Entrò in casa euforico, si diresse verso sua madre che stava cucinando e, cingendola in vita, le fece fare un giro di danza. La donna cercò di sorridere, ma Jordan si accorse che c’era qualcosa di strano, anche suo padre che sedeva a tavola, sembrava triste.
La madre accennò col mento a una busta posta sul mobile accanto all’entrata.
La piccola stazione di Elkhorn era gremita di soldati in partenza, di parenti con fazzoletti sgualciti, di ragazze e amici che cercavano riparo dal sole cocente sotto la pensilina. Jordan aveva già salutato i suoi e ora stringeva Eleanor che lo guardava preoccupata.
“Tornerai, vero? Non è giusto, però… avrò due persone di cui preoccuparmi: mio fratello e te. Stai attento, quei tedeschi sono dei bastardi. Scrivimi, ti prego, raccontami…”
Il fischio del treno aveva richiamato i ritardatari e Jordan cercò di imprimersi nella mente la figura colorata che si sbracciava, la stazione, le case, la cisterna dell’acqua che troneggiava accanto alla ferramenta, e poi il lago con le sue sponde dorate e alcune barche che lo stavano solcando.
Il lungo viaggio verso l’Europa permise a Jordan di fare amicizia con vari commilitoni.
La vita di bordo, sulla gigantesca nave da guerra, era scandita da tempi definiti, in attesa dello sbarco in Italia, nella zona Anzio/ Nettuno. Una volta là, avrebbero dovuto contrastare i tedeschi asserragliati lungo la linea Gustav, per preparare un grande sbarco alleato in Sicilia, che prevedeva la risalita della penisola. Lo sbarco e l’intervento, quindi, avrebbero permesso agli alleati uniti di tagliare la testa all’esercito tedesco.
La preparazione tattica portava sempre di più il pensiero di Jordan e degli altri soldati al momento dello sbarco e dell’attacco. Tutti erano consapevoli dei pericoli che avrebbero corso, sapevano che la morte avrebbe potuto coglierli in ogni momento: era la guerra. Ma per il ragazzo la paura della paura era angosciante. Come avrebbe affrontato l’ultima traversata verso terra sui mezzi anfibi? Avrebbe visibilmente tremato, sarebbe riuscito a tenere a bada lo stomaco e non vomitare, avrebbe battuto i denti, sarebbe svenuto, o chissà che altro avrebbe potuto esibire a vergogna completa della sua divisa?
Un giorno confidò i suoi timori a un compagno di corvè: Nathan lo rassicurò, dicendogli che le manovre, gli ordini da eseguire, sarebbero stati così incalzanti da non lasciare il tempo per pensare.
La sera precedente lo sbarco la tensione era palpabile. La mattina presto, in una giornata grigia, senza vento, una massa di uomini armati presero posto sui mezzi anfibi.
Jordan, accanto alla paratia, sentiva con sollievo spruzzi di acqua salmastra sul viso. Aveva lo stomaco stretto, le mani serrate sul fucile mitragliatore, sentiva ogni nervo, ogni fibra del corpo contratto. Guardandosi intorno vedeva che alcuni ragazzi pregavano, altri tesi come corde di violino guardavano il cielo, come per chiedere protezione. Nathan, dal lato opposto, sembrava indifferente e masticava una gomma con calma.
Quando il mezzo arrivò a riva, al grido di avanzare, gli uomini si precipitarono in acqua, mentre in prossimità di dune naturali, iniziavano gli spari nemici. Jordan correva veloce, sentendo fischiare i proiettili intorno e, mentre vedeva alcuni compagni cadere, pensò che avrebbe venduta cara la pelle.
Il ragazzo e altri compagni si diressero verso alcuni tronchi arenati sulla spiaggia; stavano per raggiungerli, quando sentirono delle grida: un ordigno scoppiò accanto a loro, creando un baratro profondo. Coperto di sabbia e schegge di legno, Jordan si accorse che il corpo che stava cercando di spostare per uscire dalla buca era quello di Nathan. Era ferito gravemente e gemeva implorando Jordan di aiutarlo.
“Ti porterò a casa, dai, aggrappati, fatti forza.” Jordan cercò di caricarsi l’amico sulle spalle, ma fece poca strada perché una sventagliata di proiettili colse entrambi. L’ultima cosa che passò davanti agli occhi di Jordan fu la visione della stazione di Elkhorn, i suoi cari, Eleanor….
I caduti sulla spiaggia di Nettuno e Anzio e quelli dello sbarco in Sicilia furono sepolti in un primo tempo in una grande fossa in una località chiamata Campo di Carne.
Sono davanti ad una croce bianca che riporta il nome di Jordan Moore, nel grande cimitero americano di Nettuno. Non so perché mi sono fermata qui mentre lo sguardo spazia su un’estensione immensa di erba verdissima e croci bianche. Pini marittimi ombreggiano un lago e una fontana attorniata da colonne di marmo bianco, dove sono scolpiti i nomi dei caduti: 7861 giovani che hanno lasciato il loro paese per far trionfare la libertà. La terra ha accolto i loro corpi, li ha dissolti insieme ai sogni, le speranze e le paure.
Il sole che sta tramontando illumina l’immensa distesa; mentre i guardiani richiamano i visitatori, mi avvio mentre chiudono i cancelli.