L'ULTIMA LETTERA
Prologo
8 Gennaio 2011. Contea di Pima, Arizona
Jack aveva dormito poco quella notte, eccitato dai progetti per la giornata e per le anfetamine ingurgitate. Era stato ore su internet a cercare notizie e a vagliare diversi programmi e, finalmente, aveva deciso la sua mossa: il giorno seguente, un'esponente democratica della Camera dei rappresentanti dell'Arizona, Cathy Lampton, avrebbe tenuto un incontro con gli elettori. La Lampton sosteneva la legge sull'aborto.
Jack aveva calcolato il percorso e preparato il borsone, poi si era allungato sul letto in attesa. Per un po' aveva seguito le sciabolate di luce che i fari delle auto disegnavano attraverso le serrande.
Quando la sveglia vibrò Jack non dormiva, fissava le ombre sul soffitto e ripeteva nella mente, per l'ennesima volta, ogni movimento che avrebbe compiuto quella mattina. Si vestì in fretta e seguì il profumo di caffè. La madre era china sulla lavastoviglie e quando sentì i passi strascicati del figlio sospirò, il padre allontanò la sedia dal tavolo, raccolse il giornale e uscì sul retro della casa. Jack vuotò la tazza e la passò alla madre, non disse una parola, si passò entrambe le mani sulla testa rasata, prese il borsone e uscì. In fondo alla strada salì sull'autobus per Casas Adobes e dopo una mezz'ora scese davanti ad un supermercato Safeway. Individuò, con facilità, la pedana decorata da bandiere e manifesti e controllò lo spazio intorno: alcune persone erano già in attesa. Scelse l'ombra di un piccolo albero a non più di quindici passi, posò il borsone a terra, ne apri la zip e si appoggiò al tronco con le mani nelle tasche posteriori dei jeans. Seguì con lo sguardo le persone che si avvicinavano zigzagando tra le auto parcheggiate e si distribuivano intorno al palco.
Era una giornata tiepida, il vento, in quota, avvolgeva due nuvole trasformandole in dischi volanti, era un segno, pensò Jack.
Cathy arrivò con un collaboratore e scese dall'auto.
Dammi qualche minuto, disse, e si avviò all'ingresso del Safeway.
Fece un mezzo giro su sé stessa, osservando il parcheggio del supermercato già pieno di auto, segno che all'interno doveva esserci parecchia gente.
Un'anziana signora aveva difficoltà a sganciare il carrello della spesa dalla catenella, le sorrise. Troppo vecchia, pensò, non sarà d'accordo con le mie idee sull'aborto. Si volse ad un gruppo di ragazze e le invitò al comizio che stava per cominciare, strinse le mani a tutte e si avviò al palco. L'anziana, sentito ciò che la donna aveva detto alle ragazze, riagganciò il carrello e si diresse lentamente nella stessa direzione.
Cathy Lampton sorrise salendo i gradini del palco, ringraziò gli organizzatori, volse lo sguardo sul pubblico e poi si chinò sui fogli del discorso.
Jack Ritter si abbassò sul borsone e quando si rialzò impugnava una 9 mm Glock. Mirò dapprima alla testa di Cathy e sparò i primi colpi, poi scaricò l'arma alla cieca, sulla folla. Non si accorse dello sgomento provocato e nemmeno dei corpi a terra, doveva portare a termine il suo progetto prima che il cuore gli scoppiasse in petto e si chinò per ricaricare l'arma, ma una signora dai capelli d'argento e un'espressione dura gli strappò via la borsa e due uomini si gettarono su di lui immobilizzandolo.
Capitolo 1
Torino 8 Gennaio 2011
Nina aveva preso l'abitudine, uscita dal lavoro, di incontrarsi con la sua amica Valeria. Nella pausa pranzo si accordavano telefonicamente sul titolo di un film che interessava entrambe e, intorno alle diciotto, si trovavano all'ingresso del cinema. A volte proseguivano la serata in un ristorante etnico o in pizzeria. Ogni tanto si era unita a loro qualche altra collega, ma il più delle volte restavano sole, a chiacchierare tra loro di ricordi o amici comuni. Raramente, quando l'orario del film non era abbastanza comodo o le recensioni non erano soddisfacenti, rinunciavano al programma e si concedevano un aperitivo in un bar del centro, sempre diverso, e presto tornavano ognuna a casa propria; Valeria per sfamare la sua coppia di gatte e Nina a curare le sue piante.
La loro vita da single era iniziata quasi in simultanea: Valeria aveva scoperto il tradimento del compagno ed era tornata nel suo mini appartamento. Anche Nina, rimasta vedova dopo sedici anni di matrimonio, aveva scoperto in modo drammatico l’infedeltà del marito. I suoi sentimenti avevano cominciato a saltellare tra il dolore per la perdita improvvisa e la rabbia per non aver capito prima la verità: qualche volta avrebbe voluto averlo tra le mani per distruggerlo, e un attimo dopo piangeva per il destino crudele che aveva troncato la vita di un uomo ancora giovane e con tanti interessi. Al pensiero dei tanti interessi, la rabbia tornava a ribollire nello stomaco, e in tal modo il dolore si affievoliva.
Quella sera, il film scelto, con Checco Zalone, aveva attirato moltissima gente: davanti alle casse si snodava una fila che pareva infinita. Le due amiche si erano guardate e avevano scosso la testa.
Potevamo immaginarlo, disse Nina rassegnata, io in quella bolgia non ci voglio entrare. Aspettiamo qualche giorno, appena riaprono le scuole, si daranno una calmata.
Valeria sospirò. Meno male, per un attimo ho avuto il terrore di dover entrare lì dentro per non lasciarti da sola. Uno Spritz al Blah Blah? Propose.
Buona idea, acconsentì Nina, lo smaltirò tornando a casa a piedi.
L'aperitivo, accompagnato da svariati stuzzichini caldi e freddi, si era prolungato per qualche ora. L'incontro tra le due donne era anche terapeutico: quando una si rattristava, l'altra trovava il modo di tirarle su il morale. Avevano molto in comune: l'impegno sindacale, le idee politiche, i gusti cinematografici e artistici, la lettura di libri noir, l'interesse per ogni tipo di società e popolo, erano curiose e impulsive, e tutte queste idee comuni avevano come base la libertà e il rispetto. Sarebbe stata una coppia perfetta, ma nessuna delle due aveva questo desiderio.
Uno schermo trasmetteva video musicali intervallati da pubblicità varie. Improvvisamente, comparve il logo del telegiornale, edizione speciale. Lo speaker descrisse un attentato terrorista negli Stati Uniti, in Arizona. Mentre immagini amatoriali mostravano ambulanze e auto della polizia circondare un grande parcheggio, la striscia di sottopancia parlava di numerose vittime, tra queste una bambina. L'attentatore era stato fermato da alcuni presenti e arrestato dalle forze dell'ordine prontamente giunte sul luogo. Molti giovani erano scesi in strada contro la vendita liberalizzata delle armi, e la polizia sembrava più accanita contro gli studenti che contro i detentori di armi. In chiusura passò la frase: Tucson, un giovane spara sulla folla, sei morti e quattordici feriti. Arrestato l'attentatore.
Tucson, ripeté Nina. Ci abitano amici di tanto tempo fa, mi sembra di un'altra vita. Ora è tardi, ma un giorno ti racconterò di loro. Non ci siamo più sentiti, chissà come se la passano. Che dici, Valeria, ce ne andiamo?
Durante la passeggiata di una ventina di minuti fino a casa, Nina aveva deciso, appena arrivata, di chiamare gli amici di Tucson. Improvvisamente ne sentiva la mancanza e si rimproverava di averli dimenticati: la morte del marito, con tutte le conseguenze che aveva portato nella sua vita, aveva aperto un periodo molto pesante, e involontariamente aveva accantonato tutto ciò che non era indispensabile affrontare, anche i contatti con le persone fisicamente distanti.
Provò subito col numero di casa di Natalia, ma non le rispose nessuno. Fece il numero del cellulare di Roy, e dal messaggio di segreteria capì che non era raggiungibile. L'agitazione cominciò a salire, sentiva il sangue scorrere veloce per tutto il corpo, una specie di crampo le stava lentamente chiudendo il petto e il dolore simile a quello provocato da un infarto cominciava a stringerle il cuore in una morsa. Panico, pensò. Corse al frigorifero e si versò mezzo bicchiere di acqua che sorseggiò lentamente. L'acqua scendeva lungo l'esofago, sciogliendo come neve al sole il crampo che faceva temere l'infarto; alla terza sorsata di quella medicina miracolosa, la calma aveva rimesso ogni organo al posto giusto, il sangue tornava a scorrere normalmente, lo stomaco si rilassava, il cuore non stringeva più. Nina ringraziò mentalmente il collega che un giorno le aveva confidato quella soluzione per gli attacchi di panico. Rilassandosi, ricordò la differenza di fuso orario di ben nove ore: Roy era un avvocato e sicuramente a quell'ora doveva essere in Tribunale o in studio. Natalia e Maria potevano essere ancora fuori casa. Decise che avrebbe riprovato il giorno seguente. Curò le piante con qualche carezza, accese la tv, sintonizzata su un canale di musica jazz e, in pigiama, si sdraiò sul divano, sotto un plaid di lana scozzese, con un libro di Carlo Lucarelli, Almost blue.
Si svegliò perché il libro le era caduto sul naso, cercò di ricordare le poche pagine lette ma non ricordava niente. Stava proprio invecchiando, pensò: da giovane non si sarebbe mai addormentata con un libro del genere in mano, anzi, poteva capitarle di non dormire fino a tardi per arrivare alla fine di un giallo. Le tornò in mente la notizia di Tucson e cercò aggiornamenti, saltellando da un canale all'altro. Non trovò niente, controllò le notizie su Televideo di Rai uno, niente neppure lì.
Pensò che sarebbe stato meglio bloccare il commercio libero delle armi, poteva essere una strada per limitare quelle tragedie. Si chiese che cosa potesse passare nella mente di un ragazzo, apparentemente normale, che all'improvviso decideva di compiere un atto di tanta gravità. Un pazzo, senza dubbio, non trovava altre definizioni.
Squillò il cellulare. Istintivamente guardò l'orologio, mezzanotte passata. Un call center a quest'ora? Digrignò i denti, ma in un angolo del cervello, il punto preciso dove si mette in moto il famoso sesto senso, si fece strada il pensiero premonitore, le tempie cominciarono a pulsare e lo stomaco si foderò di carta vetrata. Acqua, pensò. Il cellulare continuava a suonare, mentre Nina calmava la mente e il corpo con l'acqua ghiacciata. Respirò profondamente e rispose alla chiamata dagli Stati Uniti.
Era Natalia e ripeteva: Nina, Nina.
Sono io, Natalia, come stai? Ho provato a cercarti, ti avrei richiamato domani.
Natalia emetteva una specie di lamento, forse piangeva, iniziava a parlare e poi chiedeva scusa, si soffiava il naso e richiedeva scusa, finché riuscì a chiederle se avesse sentito notizie della sparatoria a Tucson.
Sì, ho sentito, cercò di calmarla Nina, ma tu come stai?
Mamma, mia mamma, era fuori dal supermercato… è morta sul colpo. Ha ammazzato mia mamma.
Maria, oh no… Nina riuscì solo a ripetere alcune volte il nome della donna che, quand’era piccola, era stata la sua tata, mentre le lacrime le offuscavano la vista.
Natalia disse che non aveva ancora potuto vedere la madre, che c'erano le indagini e le avrebbero fatto sapere quando potevano avere il corpo.
Natalia, vorrei venire lì, ora non so dirti niente di preciso, ma ho bisogno di vedervi e fare qualcosa, ti abbraccio forte forte. Roy è con te? Sta bene?
Fu rassicurata, Roy abitava con lei e la sosteneva.
Domani cerco un biglietto aereo, ho un amico che può affrettare i tempi per i documenti. Non voglio creare scompiglio, voglio essere d'aiuto, prenoto un hotel vicino a voi.
Non ci provare, Nina, tu stai qui con noi, c'è tutto il posto che serve. Facci sapere quando arriverai.
Nina si addormentò con l’immagine di Maria che impastava qualcosa al tavolo della vecchia cucina, un po' curva e vestiva di nero, silenziosa. Nina vedeva sé stessa osservare quella donna, la trovava così diversa da sua madre Margherita: colorata e rumorosa, dai modi bruschi e imperativi; Maria pareva sempre sul punto di chiedere scusa, non si lasciava andare a complimenti, non perdeva mai la pazienza. Qualche volta le aveva fatto una carezza leggera.
Nel piccolo albergo gestito dai suoi genitori, passava gente di ogni tipo. Alcuni si fermavano un giorno o due, altri abitavano lì, come fossero a casa loro.
Nina ne ricordava alcuni: il bel ragazzo che le raccontava storie divertenti aveva una fidanzata molto vistosa, truccata come una star del cinema, con una nuvola di capelli biondi. Il ragazzo arrivava a volte con una brunetta, capelli a caschetto e pantaloni attillati, diceva fosse un'amica, ma quando c'era lei non c'era mai la fidanzata.
Nella camera in fondo al corridoio, la più grande, viveva una coppia di anziani artisti; Nina non aveva mai saputo se fossero attori o artisti di strada, ma vestivano come nell'ottocento, lui, con colletto e polsini inamidati, un fiocco lavallière e il cilindro in testa, e lei con abiti in velluto rasato dai colori tenui, un piccolo cilindro con veletta e una corta mantellina bordata di pizzo.
A volte arrivavano, dal Monferrato, amici e amiche di gioventù di Margherita o del marito, si fermavano alcune settimane per cercare lavoro, poi se ne andavano seguendo il loro destino. Questi avevano un trattamento diverso, mangiavano con la famiglia di Nina e spesso si fermavano a chiacchierare con i suoi genitori. Nina, osservandone i comportamenti, poteva dire senza sbagliare che gli amici della madre non piacevano al padre e viceversa, così, tra i suoi genitori, volavano spesso frecciatine e frasi lasciate in sospeso.
C'era stato anche un fatto di cronaca nera: un giorno erano entrati quattro poliziotti, avevano chiesto di un certo Ghidelli Mario e l'avevano arrestato per l'uccisione di una orefice. La Stampa aveva scritto che il Ghidelli era entrato in una oreficeria di via Nizza e aveva sparato tre colpi sulla proprietaria; non erano stati rubati gioielli e si pensava quindi a un delitto su commissione. Sembrava una persona così gentile e buona, aveva pensato Nina, la gente è proprio strana, non è mai quello che sembra a prima vista. Questo fatto aveva stimolato ancora di più la curiosità di Nina sugli adulti.
Lei non aveva progetti per il futuro, anzi, era convinta che non sarebbe diventata vecchia, che non avrebbe avuto figli, che niente sarebbe mutato.
Aveva un padre socialista e una madre comunista, ma nessuno dei due viveva secondo l'ideologia che professava. Con un nonno fascista e una nonna monarchica – per fortuna, l'uno paterno e l'altra materna – Nina fu costretta a mediare tra i quattro ascendenti e farsi un'idea propria. Stabilito che la parte socialcomunista era la più giusta, si rese conto che, pur di tendenze opposte, i suoi parenti, per la maggior parte del tempo, andavano d'accordo.
Capitolo 2
Nina si era svegliata all'alba con due idee urgenti: avere i documenti validi per l'ingresso negli Stati Uniti, che, dopo l'attentato alle torri gemelle dell'undici settembre, avevano cambiato passaporti e regole d'ingresso, e quindi ottenere velocemente un biglietto aereo. Avrebbe utilizzato i quindici giorni di ferie arretrati, non potevano negarglieli, la ditta dove lavorava aveva sempre meno lavoro e sempre più esuberi tra i dipendenti.
Mandò un messaggio alla figlia per avvisarla di ciò che stava per fare, l'avrebbe trovato al risveglio. Poi scese in cantina, dove ricordava di aver stipato molte cose appartenute ai genitori e, tra queste, alcune scatole di latta contenenti la vecchia corrispondenza di famiglia, atti notarili ingialliti dal tempo, fotografie in bianco e nero e ritratti di antenati virati seppia, che da soli valevano un romanzo. Cercava le cartoline che Natalia le aveva spedito molti anni prima e che l'avevano resa felice. Aveva sognato, davanti alla prima cartolina ricevuta, che ritraeva il deserto di Sonora, immaginando assalti alle diligenze, come nei film pomeridiani del cinema Porta Nuova. Di conseguenza, ricordò Via col vento, un film eterno, nel senso che non arrivava mai alla fine, visto con la madre, nell'elegante cinema Corso. Scacciò l'immagine di sé stessa bambina, costretta a star seduta al buio per quattro ore, davanti alle ripicche e alle smancerie dei protagonisti, e cominciò a frugare tra le lettere.
Voleva portare a Natalia qualche ricordo tangibile. Aveva ben presente la scrittura incerta di Maria sui biglietti per la spesa, ed era sicura che ci fossero vecchie lettere che parlavano di lei, arrivata da Ferrara raccomandata da un’amica della madre.
Ritrovò cartoline e lettere, fogli con appunti e spese, e alcune buste ancora sigillate con il timbro: respinto al mittente.
Si guardò intorno: gli oggetti e i mobili di famiglia, simboli di una vita passata relegati in cantina, si stavano lentamente disfacendo; presto sarebbe rimasto solo un mucchio di spazzatura inservibile. Si ripromise, appena tornata dagli Stati Uniti, di mettere in uso le cose più preziose ed eliminare il resto.
Chiuse la cantina e salì per telefonare in ufficio.
Capitolo 3
10 Gennaio 2011
Nina mise il cellulare in modalità aereo, agganciò la cintura di sicurezza e cercò di rilassarsi contro il sedile. Aveva davanti a sé molte ore di viaggio noioso e cibo pessimo, ma stava realizzando il suo piano: abbracciare ancora una volta quella famiglia era come abbracciare sé stessa bambina, nel periodo più sereno della sua vita.
Pensò a Maria, a come doveva aver vissuto in tutti quegli anni. Timida e riservata, sembrava così fragile, eppure aveva attraversato mezzo mondo per seguire Natalia e suo nipote Roy. Aveva accettato le difficoltà della vita come se non avesse diritto a nient’altro, e non le fosse possibile scegliere un'altra strada.
L'aereo cominciò a rullare e un brivido di eccitazione le percorse la spina dorsale. L'involo era la parte del viaggio che preferiva: la sensazione di essere senza peso, come un'aquila che distende le ali possenti sul mondo. Cominciò la proiezione di un film che aveva visto poco tempo prima, chiuse gli occhi e immaginò come sarebbe stato l'arrivo.
Si rese conto di pensare a Maria come fosse viva e molto più giovane, ma erano passati più di venticinque anni, lei doveva essere una vecchietta minuta, dai lineamenti deformati dal tempo, la pelle ferita a morte, gli occhi chiusi, le membra come di pietra. Ma Nina ricordava la donna che camminava leggera tra le camere sistemando i cuscini, raccattando abiti abbandonati, era la donna che le aveva voluto bene senza smancerie: una madre così le sarebbe piaciuta molto.
Guardò in basso la distesa di nuvole e cercò un nome: cirrocumuli, forse, distese di panna montata e sopra un cielo azzurro come il buonumore.
Fece scalo a New York, dopo un paio d'ore s’imbarcò per Tucson e viaggiò ancora sette ore e diciotto minuti. Vista dal cielo, la terra non aveva i confini colorati delle carte geografiche, aveva i colori della natura, macchie irregolari verdi e marroni, ampie zone bianche di ghiaccio, grigi di pietra e fiumi tortuosi, quasi neri.
All'arrivo si sentiva stordita: camminare era fatica, le caviglie gonfie, la bocca impastata, il collo rigido. Si lasciò portare dal tapis roulant e, mentre una folla multicolore le scorreva accanto, si sentì cittadina del mondo, libera di circolare, era una bella sensazione.
Recuperò la valigia e si avvicinò trepidante all'uscita. Riconobbe subito la figura di Natalia, non era cambiata molto, i capelli sulle spalle e quegli occhi, lo sguardo rassegnato che hanno anche gli animali; dietro di lei un bell'uomo alto, biondo, l'immagine del padre, ma Roy era più esile e forse più alto. Si riconobbero e si abbracciarono.
Capitolo 4
Roy si scusò, c'erano alcune pratiche urgenti da sbrigare per riavere il corpo di Maria. Vi raggiungo per cena, disse, baciando Nina su una guancia e Natalia sulla fronte, poi si allontanò su una grossa Chevrolet, mentre le due donne raggiungevano una più modesta Ford.
Andiamo a casa, potrai sistemare le tue cose e riposarti, propose Natalia, il viaggio deve essere stato massacrante.
Mi sento solo un po' fuori fase, sarà il jet lag, ma viaggiare da sola non mi dispiace, c'è tanto tempo per pensare indisturbata.
Vivi ancora sola, o hai un compagno? Si informò Natalia.
Sola. Sono uscita qualche volta con un paio di persone, ma in fondo non volevo condividere altro che... Nina lasciò sospesa la frase. Dopo qualche momento, precisò: Quando mio marito ha avuto l'incidente non ho perso solo lui, ma anche i nostri progetti e quindi il futuro, le abitudini di ogni giorno, insomma, gran parte della mia vita. Sono passati nove anni ma sto ancora curando le mie ferite. Anche tu hai perso tuo marito, giovanissimo e in modo drammatico, e avevi un figlio piccolo che dipendeva da te. Mi ricordo tutto come fosse successo pochi giorni fa.
Nina ebbe paura di aver parlato troppo, guardò Natalia: guidava a bassa velocità e fissava la strada assolata, le lacrime scivolavano sul suo viso e cadendo formavano piccole chiazze scure sulla camicetta.
Perdonami, non volevo rivangare, si scusò Nina.
Natalia accostò l'auto, spense il motore e si rilassò contro il sedile.
Ci siamo lasciate che tu eri una bambina e io una ragazza, e ora siamo due vedove che si preparano per un funerale. Non sei tu che mi fai piangere, piango per il dolore della nostra vita, perché ho bisogno di piangere e non ero ancora riuscita a farlo. Ho un senso di vuoto e di rimpianto per non aver parlato più spesso con la mamma, non ho mai potuto vederla felice e mi sento in colpa per questo. So che non è razionale, ma è come mi sento ora.
Ci siamo sentite raramente in questi anni, riprese Nina, la distanza rende tutto più complicato, ma voi fate parte della mia storia, anzi, di una parte felice della mia vita e vi ho sempre pensato con affetto. Tu sei stata la ragione di vita di tua mamma, e sicuramente un nipote come Roy deve aver rallegrato nonna Maria e reso sopportabili le brutte esperienze avute da giovane. Tu sai, vero?
Un giorno, che mi ero sentita trascurata dai miei e stavo imbronciata sul divano, ho detto che nessuno era più sfortunato di me. Erano capricci: nella paghetta settimanale, mio fratello aveva ricevuto cinquecento lire più di me, così avevo messo su un broncio esagerato. Maria si è seduta accanto a me e mi ha raccontato la sua vita: quando si era svegliata in ospedale, unica sopravvissuta del vagone, nel deragliamento del treno, aveva saputo della morte dei genitori, aveva solo otto anni ed è finita in orfanatrofio, non aveva parenti che potessero adottarla. Mi raccontò delle punizioni ricevute, il cibo era scarso e di solito era una brodaglia.
Certo erano tempi duri quelli, per tutti, ma come doveva essere triste vivere in un orfanatrofio, negli anni Trenta?
Sì, hai ragione, confermò Natalia. Io sono stata egoista, l'ho lasciata a Torino e sono andata a lavorare in Germania. È lì che ho conosciuto Peter, te lo ricordi? Era così bello, con quell'aria triste… Ci siamo sposati in fretta, e l'ho seguito qui a Tucson. Maria è rimasta a Torino con voi. L'ho lasciata sola.
Maria era felice che tu fossi felice, l'interruppe Nina. Certo, le mancavi. Ho avuto io i gesti di affetto che avrebbe destinato a te. Sono sicura che fosse serena, almeno fino a quando si è accorta del problema di Peter.
Entriamo, decise Natalia, siamo arrivate. Viviamo in questa casa, disse, indicando un grande cubo ocra, sulla destra.
Nina si fermò stupita: il tetto spiovente a larghe falde poggiava, dal lato strada, su un porticato, il terreno intorno alla casa era in pietra e si intuiva un orto sul retro. Grandi vasi in terracotta contenevano cactus e agavi; tutto intorno correva un basso muretto a segnare il confine della proprietà.
Hai una casa bellissima, Maria sarà stata orgogliosa.
Ci siamo trasferiti qui dopo la morte di Peter, prima abitavamo fuori città. Ti ricordi? Eravamo a casa tua quando è successo.
Natalia scortò Nina nella camera di Maria, lasciò che l'amica osservasse le fotografie sul comò, quasi tutte di Roy, dalla nascita alla laurea.
C'è l'odore di Maria, violetta! Me n’ero dimenticata, ricordò Nina. Dopo le faccende, in casa, usava un olio per le mani che sapeva di rosa, ma il cappotto odorava di violette. Allora usava molto, ha mantenuto le abitudini.
Andiamo sopra, ti sistemi nella camera vicino a quella di Roy. Io dormo qui sotto, se dormo.
Capitolo 5
Nina sistemò nell'armadio la biancheria e i pochi abiti, poi s’infilò sotto la doccia.
Si sdraiò già vestita sul letto, voleva solo riposarsi qualche minuto e poi scendere da Natalia, invece si addormentò e sognò di essere ancora in viaggio.
A metà pomeriggio, uno schiamazzo in strada la riportò nella casa. Appena sveglia ebbe bisogno di alcuni minuti per riordinare le idee, poi si affacciò alla finestrella: in strada, alcuni ragazzini pedalavano veloci e gareggiavano in evoluzioni su una sola ruota. Come essere a casa, pensò, ricordando i giardinetti vicini al suo appartamento, a parte il fatto che questi strillano in americano. Lasciò il cellulare sotto carica e scese, portando l'involto con le vecchie lettere.
Natalia parlava al telefono con Roy, quando la vide cominciò a parlare in italiano e Roy capì che Nina era presente e sua madre non voleva che si sentisse esclusa. Si salutarono.
Hai potuto dormire? Chiese Natalia, indicando una sedia accanto al tavolo di cucina.
Ho dormito, ma non so per quanto tempo e non so a che punto della giornata siamo, che ore sono qui, non ho aggiornato l'orologio.
Nina posò il pacchetto sul tavolo.
Ho trovato queste lettere e alcune foto, puzzano di cantina vecchia, mi dispiace.
Aprì l'involto e passò alcune fotografie a Natalia. Nella prima, Maria era diciottenne, con la divisa dell'istituto, stava in piedi all'ingresso della cattedrale di Ferrara, si capiva che era imbarazzata ed era bella anche in bianco e nero, pareva persino più alta.
Nella seconda foto, due ragazze, vestite con una gonna a pieghe, scura come il golfino, e sotto la stessa camicetta bianca, scimmiottavano un inchino tenendosi per mano. Questa è mia mamma, disse Nina, e quest'altra è la sua amica Claudia. La signora di Ferrara che ha raccomandato tua mamma alla mia. Anche loro sono state in un collegio, mia mamma diceva: dalle madame Causotte, forse erano suore laiche, ma non ne sono sicura. Lì hanno fatto amicizia e sicuramente insieme ne hanno combinate delle belle. Porse una lettera a Natalia.
Leggi: Claudia scrive a mia mamma.
Ferrara, 14 ottobre 1945
Cara Margherita,
è stata una gioia sentirti al telefono, è proprio vero che il tempo e la distanza non possono cancellare un'amicizia vera. Da quando ho lasciato Torino per seguire mio marito a Ferrara, ho avuto un gran da fare, altrimenti ti avrei telefonato molto prima. Casa nostra è grande e dobbiamo ancora finire di arredarla, ma, intanto, abbiamo ricavato una stanzetta per gli ospiti, con due letti gemelli e l'armadio di una zia di Aldo che è morta giovane, così quando vuoi venire a trovarmi sarà tutto pronto. Abitiamo vicino a casa dei miei suoceri, ma almeno siamo per conto nostro, e qui loro non prendono decisioni. Qualche volta mio marito invita i suoi colleghi con le mogli, dice che devo fare amicizia con la gente di qua, ma è anche per tenere buoni rapporti con quelli che contano. Mia suocera mi ha insegnato a fare i cappellacci e dice che sono abbastanza brava, sembrano un po' ai nostri agnolotti ma dentro ci mettono la zucca, sono buonissimi e te li farò insieme alla salama da sugo: una specialità di qui; piaceranno di sicuro a tuo marito. Domenica pomeriggio siamo andati a fare una gita in bicicletta fino al Po e guardando l'acqua scorrere ho pensato che era acqua che arrivava dal Piemonte e mi è venuta tanta nostalgia. Chissà quando potrò tornare a vedere le mie colline.
Comunque il mio matrimonio va bene, credo di essere stata fortunata. Avevo molti dubbi, ci conoscevamo poco ed eravamo di due città così lontane, ma Aldo è un uomo buono, si fida di me e lavora tanto; pensiamo, prima o poi, di mettere in cantiere un bambino, i suoi genitori ci mettono fretta, ma noi stiamo bene anche così, per due o tre anni.
Ti ringrazio moltissimo di esserti prestata ad aiutare la mia Maria, ha avuto sfortuna, poveretta, e io mi sento anche un po' responsabile per quel che è successo. Non ti sto a raccontare i particolari, se vuole lo farà lei quando arriverà a casa tua. Sappi che è davvero una brava ragazza e di lei ti puoi fidare anche a darle le chiavi di casa.
Sapevo di poter contare su di te, in ricordo degli anni passati insieme in collegio, e soprattutto per l'amicizia che ci lega. Ci siamo intese da subito, abbiamo fatto "comunella" come dicevano le signorine Causotte. Perché le chiamavamo così? Forse perché ci davano sempre cusot bolliti, giorni feriali o feste, era uguale. Al mattino latte in polvere, che di polvere era il gusto, mica il nome, e alla sera brodaglia, pane secco e cusòt, o, se eravamo in castigo, a letto senza cena.
Di sicuro è per quelle esperienze che, da quando sposando Aldo sono economicamente tranquilla, ho cominciato ad andare in un orfanatrofio qui a Ferrara a dare una mano di aiuto. Mi fanno una pena quei bambini, e i grandi anche di più! Sono tristi e non sanno niente di com'è il mondo di fuori. Pensa che l'unico divertimento è andare a messa in duomo, la domenica. Le suore li portano lì perché, vedendo i piccoli, qualche madama, mossa a compassione, sganci un bel po' di elemosine anche per loro. Credo che noi alla stessa età fossimo più felici. Vero che noi, almeno la mamma ce l'avevamo e due volte l'anno ci arrivavano i pacchi da casa, questi sono orfani di tutti e due i genitori, e quelli di Maria sono morti insieme in un incidente ferroviario. Era la prima volta che salivano su un treno, ma quando la sfortuna ti perseguita è così, non si può scappare, si è salvata solo Maria, aveva otto anni appena compiuti. È stata dieci anni in orfanatrofio, poi sono riuscita a farla venire da me, mi dava una mano in casa e per me era un gioco farle vedere il mondo di fuori. Poi, purtroppo, è successo quel che è successo.
È meglio che si allontani da Ferrara al più presto per dimenticare e pensare solo al futuro. Le lascio un po' dei miei risparmi e, se non troverà lavoro presto, gliene manderò altri. Non voglio che vada a finire chissà come, poveretta.
Ho fatto tardi, ti scrivevo e il pensiero andava e il pomeriggio è passato in un lampo, devo sbrigarmi a cucinare qualcosa per cena, tra poco arriva Aldo, affamato come sempre. Ti abbraccio, mia cara. A presto.
La tua amica per sempre, Claudia
P.S. Maria arriverà sabato pomeriggio a Porta Nuova.
C'era anche questo foglio, disse Nina, non capisco perché fosse tra i documenti dei miei, forse una lettera che si è fatta correggere prima di inviarla.
Torino, 16 dicembre 1945
Carissima signora Claudia,
oggi è domenica e ho il pomeriggio libero, così posso scrivere per ringraziarla di tutto quello che ha fatto per me. Torino è una città grande che ho paura di perdermi ma la signora Margherita mi dice di tenere sempre il numero di telefono in tasca che quando esco se mi perdo posso telefonare e mi viene a prendere.
Mi trovo molto bene qui dai signori. Non ho detto ancora niente alla signora, mi vergogno, che sono stata così stupida. Lei dice che se ho bisogno di un consiglio o anche solo di parlare posso chiedere a lei che se può mi aiuta. Non sono sicura di aver fatto la cosa giusta, cerco di non pensarci, ma certe notti sogno e piango tanto che mi sveglio col cuscino inzuppato. Chissà se un giorno potrò avere un po' di pace.
Mi piace cucinare e vado sempre dalla cuoca a dare una mano così imparo a fare i piatti di qui che non so farli. Magari se imparo bene posso fare la cuoca anche io.
C'è un giovanotto che mi gira intorno e mi piace abbastanza (questo glielo ho detto alla signora Margherita) lavora da garzone della macelleria ma aspetta che lo chiamano nell'arma dei Carabinieri. Quando entra nei Carabinieri per un po' non si può sposare, è per una regola che hanno loro. Dice che gli piaccio e mi ha invitato a fare una passeggiata al Valentino che è un giardino grandissimo con tante piante che non ho mai visto. Dice che la prossima domenica mi porterà al cinema.
Grazie ancora, signora Claudia, sapesse che nostalgia ho di lei e di Ferrara.
Maria Martelli
Mi tieni compagnia mentre cerco una busta in camera di mamma? Mi aveva detto di aprirla solo dopo la sua morte, credo siano le istruzioni per il fumerale, disse Natalia.
Lei andava a messa tutte le domeniche mattina, aggiunse pensierosa, ma io e Roy non pratichiamo nessuna religione.
E Peter, come la pensava? S'interessò Nina, mentre l'immagine del giovane marito dell'amica riprendeva forma nella sua mente.
Era nato in una famiglia di protestanti, ma era stato segnato dalla guerra in Vietnam, spiegò Natalia. Diceva che nessun dio avrebbe permesso quelle atrocità.
Natalia aprì i cassetti del comò, ma contenevano solo biancheria.
Peter si svegliava spesso urlando che le donne e i bambini bruciavano. Era penoso vederlo in quello stato. Io non osavo chiedere di raccontarmi di più.
Fece una pausa cercando di ingoiare le lacrime, si soffiò il naso e dondolò la testa. Non avrei dovuto lasciarlo tornare a casa da solo, ma come potevo immaginare che avrebbe deciso di farla finita… eravamo d'accordo che avrebbe contattato uno psichiatra, ti ricordi?
Non potrei dimenticarlo, eravate con noi, a casa nostra.
Doveva essere una vacanza, continuò Natalia, perchè Roy conoscesse la nonna. Lui beveva troppo, ma io pretendevo che almeno in quei giorni, davanti a mia madre, a voi, non si comportasse male. Abbiamo litigato, gli ho dato uno schiaffo, lui mi ha spinto e sono caduta. Mi sono svegliata in ospedale. Lui era stato arrestato.
Natalia si prese la testa tra le mani e restò immobile per qualche istante, Nina immaginò che i fatti di quei giorni passassero nella sua mente come un film. Poi Natalia fece scivolare le mani tra i capelli e guardò negli occhi l'amica.
Ti ricordi quando venivi a trovarmi in ospedale? Non capivo bene cosa stesse succedendo.
Mi ricordo, intervenne Nina cercando di alleggerire la tensione. Roy aveva cinque o sei anni e dormiva nella camera con me e mio fratello. Me lo sono coccolato come un fratellino, ero innamorata delle sue lentiggini e del suo accento americano. Gli ho voluto molto bene, da subito. Mi ricordo anche che Peter era un bel ragazzo, so di aver pensato che prima o poi avrei trovato un fidanzato come lui, sai, fantasie da ragazzina.
La prima volta che ho visto Peter eravate ancora fidanzati, arrivavate dalla Germania, eravate bellissimi e tu traducevi tutto: lui faceva complimenti a mia mamma e lodava la cucina italiana, ma esagerava con il grignolino. Durante la cena è uscito da solo, senza conoscere la città né una parola di italiano. Sembrava allegro e io ridevo divertita, non avevo capito niente!
Natalia annuì.
Mamma, invece, aveva capito tutto. Mi disse di pensare bene a quello che stavo facendo, ma io ero innamorata e non potevo essere obiettiva: non ho pensato nemmeno una volta di lasciarlo.
Nel cassetto del comodino c'erano due buste: la prima era bianca, con scritto Natalia, l'altra era gialla, grande e sigillata. Sarà questa, si chiese Natalia.
Nina annuì. Credo anch'io, disse.
Nina, io non ho mai conosciuto mio padre. Mamma mi diceva che era un carabiniere ed era morto prima che si sposassero, io ero già in arrivo e lei per la vergogna non ha preteso nulla dalla famiglia. Ma c'era qualcosa di poco chiaro. Chissà perché è venuta via da Ferrara, pur essendo affezionata a Claudia.
Nina trattenne il respiro: possibile che Natalia non sapesse niente? Indecisa se fosse meglio raccontare ciò che sapeva o aspettare, abbassò lo sguardo sulla foto di Maria.
Natalia guardò l'amica, visibilmente imbarazzata, e decise di rimandare le domande a più tardi.
Vieni, tra poco arriva Roy. Gli ho chiesto di ordinare qualcosa per la cena al ristorante di un suo amico. In un altro momento avrei cucinato io.
Non devi preoccuparti, avrei anche potuto cucinare io, ma va bene qualsiasi cosa, la tranquillizzò Nina.
Roy mangia spesso fuori casa, a volte con clienti e colleghi e ha molti amici.
Natalia sorrise per la prima volta, poi aggiunse: di tutti i colori.
Capitolo 6
Roy arrivò con un amico i cui tratti somatici rivelavano l'origine di nativo americano, occhi allungati, capelli corvini raccolti da un elastico, e neppure un accenno di barba sul bel viso largo. Yas rivolse a Nina un sorriso amichevole e baciò Natalia.
Mangiarono poco e svogliatamente, mentre Roy metteva al corrente la madre sugli sviluppi delle indagini, poi disse che ci sarebbe stata una cerimonia ufficiale, e si aspettava la conferma della partecipazione di Obama.
Natalia andò a prendere la busta gialla. Era già stata aperta e conteneva le volontà di Maria, la diede al figlio. Non voleva una cerimonia sfarzosa ma intima, nessuna musica, ma un mazzo di fiori le sarebbe piaciuto, e dovevano essere profumati per lasciare un buon ricordo. Voleva essere cremata e le ceneri sepolte in giardino: pianteci sopra una pianta con tante spine, aveva scritto, che i cani non vengano a sporcare proprio lì.
La busta con su scritto “per Natalia” era posata sul tavolo, ancora chiusa. Lei la accarezzò più volte, poi ammise di non aver avuto il coraggio di aprirla. Se la madre aveva scritto una lettera solo per lei, disse, doveva contenere qualcosa che poteva far male, e non era sicura di poterlo sopportare.
Nina disse che Maria era una persona molto riservata, e forse era per timidezza che aveva scritto e non parlato direttamente. Se aveva pensato di dirle qualcosa, qualsiasi cosa, bisognava ascoltarla, leggerla, perché era la sua volontà.
Natalia annuì, aprì la busta e passò anche quella al figlio.
Cara Natalia, se stai leggendo questa lettera è perché la mia vita è arrivata alla fine. Io sono stata tanto sfortunata, ma tu sei stata la ragione per andare avanti, per non cedere alla disperazione. Ho dovuto prendere decisioni difficili e forse ho sbagliato. Avrei voluto avere una madre a consigliarmi e spiegarmi i fatti della vita, invece che trovarmi sola in mezzo ai guai. Ho un segreto che voglio svelarti, perché non è giusto che tu non sappia. Ho provato tante volte a parlarti, ma provo troppa vergogna.
Tu sai che da giovane ero a servizio dalla signora Claudia a Ferrara e che il marito era un avvocato. Quasi tutte le sere avevano ospiti a cena, fuori si faceva la fame, ma in quella casa non mancavano mai le cose buone e il vino in bottiglia. La signora e il marito erano gentili con me e mi volevano bene, ma quelli che venivano a cena mi trattavano come una serva. C'era soprattutto un giudice, alto e grosso come un orso, che, quando passavo a servire a tavola, allungava le mani, e io senza farmi accorgere dovevo servire in fretta e scappare via.
Una sera, che c'erano tanti ospiti e tanta confusione, sono scesa in cantina a prendere altro vino e lui, che aveva già bevuto tanto, mi ha seguito e ha chiuso la porta e io mi sono spaventata che non riuscivo più a muovermi. Quel gran bastardo è riuscito a fare i suoi porci comodi e poi è risalito a bere e sghignazzare come se niente fosse. Avrei voluto morire, per il male che mi ha fatto e per la vergogna, e anche perché non ero stata capace di dargli una bottigliata in testa a quel maledetto. Con tutta quella gente in casa non ho voluto dire niente, ma ho poi raccontato tutto alla signora Claudia. Passato un po' di tempo mi sono accorta di aspettare un bambino. ho chiesto aiuto alla signora che ne ha parlato con il marito. Era un grande scandalo per Ferrara, il giudice che mi aveva violentato era una persona molto in vista e denunciare la violenza e chiedere al giudice di prendersi la responsabilità per il figlio che sarebbe nato sembrava molto rischioso e i signori temevano ritorsioni. Dissi che non volevo dare un figlio a quel bastardo, che padre poteva essere per lui se con me si era comportato in quel modo. Ho detto che dovevo trovare qualcuno che mi facesse abortire, avevo sentito di donne che sapevano come fare. La signora Claudia mi disse se ero matta, che le donne che facevano quei servizi erano disperate senza cervello, che ne morivano tutti i giorni dissanguate. Bisognava trovare un medico e pagare quel che si doveva pagare. Tramite il medico di famiglia si sono messi in contatto con qualcuno, hanno pagato non so neanche quanto, e un mattino la signora Claudia mi ha messo in mano i soldi per la corriera per Bologna e per comprare da mangiare, l'indirizzo del medico e la raccomandazione che, una volta fatto tutto quanto. sarei dovuta tornare all'Opera pia, che aveva già parlato con la direttrice e che dovevo stare li qualche tempo fino a che avrebbe trovato un posto di lavoro lontano, aveva in mente di chiedere a una sua amica che aveva una pensione a Torino.
Era mia madre, interruppe Nina, e si sporse attraverso il tavolo a prendere una mano di Natalia tra le sue. Non sapevi niente di tutto questo? Mia mamma me ne aveva parlato, noi sapevamo che Maria aveva abortito. Ha sofferto, povera donna, pensa a cosa ha dovuto affrontare da sola.
Natalia era stupita. Ma sì che sapevo, disse, non capisco perché ha voluto scriverlo. Me lo aveva raccontato, non con i particolari della lettera, ma sapevo della violenza e dell'aborto. Roy allungò la mano aperta, facendo segno di aspettare, poi continuò a leggere.
Ero disperata, mi sentivo di nuovo sola al mondo: uscii da quella casa pensando di andare a morire da qualche parte. Camminando per Ferrara, sono finita davanti all'orfanatrofio dov’ero stata fino ai diciotto anni, mi sono seduta sul marciapiedi a cercare un modo per farla finita e a un certo punto ho visto arrivare i bambini in fila per due, tornavano dal vespro, dietro c'era suor Matilde, non ero più sola, avrei chiesto aiuto a lei.
E suor Matilde mi ha aiutata, ha parlato con la direttrice e mi hanno tenuta nascosta fino a quando è nato il bambino, non sono mai uscita da quella camera per sei mesi, solo quando tutti andavano in Duomo potevo fare una passeggiata in cortile e prendere un po' d'aria.
Quando è nato, la direttrice mi ha detto che c'era una famiglia che aveva chiesto di adottare un bambino, ma non volevano uno degli orfani dell'istituto, lo volevano neonato e volevano un maschio e se io ero d'accordo il mio bambino sarebbe potuto crescere felice in una famiglia regolare. Quella notte ho pianto per me e per lui, ma il discorso della direttrice aveva un senso, tutto sarebbe andato a posto nel migliore dei modi, io avrei continuato a piangere di notte, nascosta da tutti. ma le cose sarebbero state più semplici per il bambino. Accettai, a patto che non potessero cambiargli il nome.
Perdonami, Natalia, ti ho nascosto l'esistenza di tuo fratello per tutti questi anni, avrei potuto portarmi il segreto nella tomba. Mi sono chiesta tante volte quale era la cosa giusta da fare, non ho trovato una risposta. Il giorno che vennero a prendere il bambino, ho spiato quelle persone dalla finestra socchiusa poi ho chiesto a suor Matilde se per favore poteva avvisare la signora Claudia che potevo cominciare a lavorare.
Un pomeriggio sono entrata in direzione mentre erano tutti in chiesa, al funerale di un benefattore. Sapevo che tutto quel che succedeva nell'istituto veniva riportato su un registro. Col cuore in gola, ho cercato il nome di quella coppia e l'ho trovato. Erminia e Bartolomeo Barbieri di Castel Maggiore. tuo fratello si chiama Ermes, è nato il 28 agosto 1945. Non ho mai trovato il coraggio di cercarlo per parlargli, ma ho sempre pregato e sperato che fosse felice.
Perdonami, se puoi, non ho saputo fare meglio.
Passarono alcuni minuti in silenzio, mentre ognuno cercava di orientarsi nella nuova realtà, poi Nina riprese a parlare.
E così, disse, Claudia scrisse la famosa lettera a mia mamma, e Maria partì per Torino.
Capitolo 7
12 gennaio 2011, Tucson Memorial Center
Quattordicimila persone affollavano il palazzetto. In prima fila, i parenti delle vittime guardavano davanti a loro il presidente Barack Obama, attenti a non perdere neppure una parola del suo discorso.
Ai familiari delle persone scomparse, cominciò, a tutti coloro che li conoscevano, agli studenti di questa università, alle autorità pubbliche e a tutti i cittadini di Tucson e dell'Arizona: sono qui stasera come un semplice americano [...] se l'America vuole onorare le sei vittime della strage, allora che ritrovi sé stessa. L'America, tutta l'America, lo deve a Cathy Lampton, che questa sera per la prima volta ha riaperto gli occhi, e alla bimba di nove anni uccisa sabato scorso e che merita un esempio degno dell'America che lei si era immaginata. [...] I nostri cuori sono distrutti da queste morti assurde, ma sono pieni di speranze per i tredici Americani che sono sopravvissuti alla sparatoria, e noi siamo grati alla sessantunenne che ha impedito che il killer ricaricasse, salvando senza dubbio la vita di tante persone. […] Questa gente ci ricorda che l'eroismo non si trova solo sul campo di battaglia, non richiede allenamenti speciali o forza fisica: l'eroismo è qui, intorno a noi, nei cuori di tanti cittadini […] Abbiamo anche il dovere di interpretare questa tragedia come un modo per andare oltre [...] dopo tutto, questo è quello che fa la maggior parte di noi quando perde qualcuno nella nostra famiglia, specialmente se la perdita è inaspettata, siamo scossi dalla nostra routine e costretti a guardare dentro di noi. Riflettiamo sul passato: abbiamo speso abbastanza tempo con un genitore anziano, ci chiediamo, gli abbiamo espresso la nostra gratitudine per tutti i sacrifici che ha fatto per noi? Abbiamo detto ad un coniuge quanto lo abbiamo amato, non solo una volta ogni tanto, ma ogni singolo giorno?
Nina non riusciva a seguire un discorso di circostanza così lungo, infarcito di aggettivi "americani" e in una lingua che conosceva in modo elementare. Coglieva solo l'essenziale, le parole legate ai sentimenti e i nomi delle vittime e degli eroi. Maria era compresa nel "numero" delle vittime, il suo nome non venne pronunciato, eppure a modo suo, quella piccola donna aveva percorso eroicamente la sua strada, e Natalia ora conosceva tutto il peso del suo dolore.
Epilogo
Il tempo che trascorre tra la morte di una persona e il suo funerale è carico di tensioni: le persone coinvolte sopportano un sovraccarico di stress che sconvolge mente e fisico. Ci sono esperti che si dedicano esclusivamente all'elaborazione del lutto e, nel caso dei parenti di vittime di eventi terroristici, che coinvolgono anche la vita politica, si formano delle équipe apposite, ma è il tempo la medicina più efficace: il tempo passa e scava rughe profonde, ma in compenso lima pian piano le ferite interne, le perdite, le mancanze.
Sull'aereo che l'avrebbe riportata in Italia, Nina ripensò a quante cose erano successe in una manciata di giorni. Era partita improvvisamente, da sola, abbandonando una situazione di gesti ripetuti sempre uguali, sia al lavoro che nella vita privata, e negli ultimi giorni aveva sorvolato mezzo mondo, visto di persona il presidente degli Stati Uniti, salutato Maria per l'ultima volta e riabbracciato gli amici che aveva corso il rischio di dimenticare.
Ora che stava tornando al tran tran di sempre, ebbe la netta impressione che la vita le stesse scivolando via inutilmente. C'era una frase di Obama che le era piaciuta molto, era la domanda se avessimo speso abbastanza tempo con una persona cara.
Pensò a quante cose avrebbe voluto sapere sulle persone della sua famiglia: ora non avrebbe più potuto chiedere, se n'erano andati senza raccontare quasi niente dei loro desideri, dei progetti, delle delusioni, di chi avevano amato e chi avevano perso per sempre.
Cercò il tablet, impostò una pagina di Word, nella prima riga, in centro scrisse “Appunti di viaggio”, e iniziò.
Nina aveva preso l'abitudine, uscita dal lavoro, di incontrarsi con la sua amica Valeria. Nella pausa pranzo si accordavano telefonicamente sul titolo di un film che interessava entrambe e, intorno alle diciotto, si trovavano all'ingresso del cinema...