NATALAI

Si raccontava che nella valle di Lu T’imponi vivesse il mago Natalai; in paese dicevano che da bambino fosse stato allattato da una capra stregata. Questo serviva alla gente per giustificare le sue stranezze. Portava una calza rossa e una azzurra e teneva con sé una volpe invece di un cane; si diceva anche che quando tornava dal bosco camminasse con una salamandra viva infilata nell’occhiello della giacca e una biscia attorcigliata su un bastone. Un mago? Forse sì, forse no.
Io ero un ragazzo e la storia di Natalai mi affascinava: sebbene ogni giorno attraversassi la valle per andare a scuola, non avevo mai avuto modo d’incontrarlo. 
Si raccontava anche che una volta avesse trapiantato le penne di un gallo tra le piume di una gallina e che poi l’avesse ubriacata con dell’acquavite: diceva che così avrebbe cantato da gallo e fatto le uova a due a due.
Mago o non mago, Natalai era noto in tutto il circondario e riusciva a metter paura alla gente, che preferiva tenersi alla larga dalla sua valle. Io, invece, ero incuriosito da quella storia e speravo di incontrarlo nel canalone, anche se ogni volta, trovandomi solo in quel luogo selvaggio e deserto, lo attraversavo correndo.
Quell’anno avevo appena iniziato la scuola secondaria: in un giorno grigio, alla fine di novembre, mentre rincasavo, m’imbattei in un essere allucinante. Aveva grossi piedi dentro a zoccoli duri, una selva di capelli arruffati e, sotto cespugliose sopracciglia, occhi penetranti che mi fissavano. C’era qualcosa di ignoto e potente in quello sguardo, che sembrava racchiudere una forza dura e cattiva. Rimasi perduto, come in contemplazione, ma ebbi la forza di bisbigliare: “Sei il mago?”
“Sono Natalai” rispose lui. “Da tanto tempo ti seguo e ti osservo, senza che tu lo sappia,” mi disse ancora.
Quella mattina un vento sibilante scendeva da Lu T’imponi, pareva tornare su sé stesso più volte prima di correre nella valle, imbevuto di suoni, tra il bianco della neve, e non so se tremassi di più per il freddo o per il terrore.
Lui era davanti a me, con una vipera attorcigliata su per una gamba, e poi su un braccio, fino a giungere con la testa vicino al suo orecchio.
“Hai paura?” Mi chiese. Io tremavo, ma non volevo dare l’impressione di essere un piscia-sotto, così feci cenno di no con la testa.
“Sei coraggioso” mi disse. In quel momento mi sentii grande. A dire il vero, forse, mi sentivo più coraggioso in quel momento che quando i miei amici mi deridevano, chiamandomi “paffuto ciccione” per il mio aspetto un po' grassottello.
“Hai più paura dei tuoi amici che di me?” Mi chiese ancora Natalai, come se mi avesse letto nel pensiero. Piegai la testa a mo’ di conferma, e proprio in quel momento capii con certezza che era veramente un mago.
Egli s’infilò tra i capelli le luride mani e, da sotto le unghie, estrasse un piccolo e viscido serpentello: era un essere peloso, nero, con due punti rossi che gli facevano da occhi. Natalai mi prese la mano e mi poggiò quel piccolo schifoso animale sul dito indice. Poi, guardandomi negli occhi, mi disse ancora: “Lui si chiama XX, fallo vivere nei tuoi capelli e portalo con te per la vita.”
Per evitare che il mio nuovo amico XX cadesse sulla neve, portai immediatamente l’indice nei capelli, non ricordo se sul lato destro o sinistro. Ma so bene che da quel momento non ho mai più avuto paura di niente e nessuno.
Natalai scomparve subito dopo, correndo su per l’erta montagna innevata, verso le vette, tra pini e abeti bianchi.
Non l’ho mai più incontrato, ma ancora adesso che sono appena in grado di camminare, quando ritorno nella valle di Lu T’imponi, penso a lui e al coraggio che mi ha dato. Mago o non mago. 

Autore: Rosalinda De Francesco
Data: 17 feb 2023