Tema: Paura

NINA DEI TEMPORALI

"Le finestre sono chiuse?"

"Si, amore, ci ho pensato io. Cerca di dormire... è solo un temporale, ma è ancora lontano. Forse non passa neanche di qui."

"Tu non vieni a letto?"

"No, non ancora. Voglio godermi lo spettacolo...”

 

Sono sempre stato attratto dai temporali, mi piace guardarli e non ho paura di queste manifestazioni di forza che la natura ci scaglia contro. Mi fanno capire quanto è grande lei e quanto siamo insignificanti noi.

Quando ero piccolo non me li facevano guardare. Mia madre, ad ogni accenno di situazione temporalesca, correva ad abbassare le tapparelle e faceva piombare la casa nel buio più assoluto. Ma i lampi s’infilavano nelle fessure e io potevo vederli anche chiuso dentro casa. Mi piaceva contare quanti secondi passavano tra il fulmine e il tuono. Mentre io stavo a guardare i contorni delle finestre che si illuminavano, mia madre si dava da fare a staccare tutte le spine dalle prese.

"Così se il fulmine colpisce la casa non si brucia niente!"

Anche questa volta l'ho sentito arrivare. Un rumore sordo, cupo, lontano, ha cominciato a farsi strada lungo la pianura buia, illuminata solo dalle luci artificiali che l'uomo ha disseminato in ogni angolo per la paura secolare dell'oscurità. Ci sono ormai talmente tante luci che quando il cielo è sereno non si riescono più a vedere le stelle. Però dalla finestra della mia camera si vede bene la pianura e ci sono ancora parecchie zone buie: sono le campagne, campi sterminati di mais che fra un po' saranno colpiti dalla forza del temporale. Stupenda la luce che scende violenta dal cielo con la forza del sole e che per pochi istanti illumina tutta la zona come se fosse mezzogiorno e come il sole vuole essere unica dove si posa, così che i piccoli soli artificiali dell'uomo sono costretti a spegnersi per onorare il suo arrivo.

Già m’immagino i piccoli uomini correre disperati perché il fulmine ha fatto saltare il contatore, il salvavita, qualcuno dice ancora che ha fatto saltare le valvole, e poi di corsa a vedere se è un problema singolo o di tutto il vicinato. Si tratta di aspettare che il temporale passi, poi se non si torna alla normalità si può sempre chiamare la società elettrica e vedere che piano di emergenza hanno già messo in atto, altrimenti cosa ne sarà dei quintali di carne e verdure stipati nei freezer in cantina.

L'ho cercata a lungo questa casa. Volevo una visuale sulla pianura che fosse il più ampia possibile. Il perché è semplice. Sono innamorato dei temporali. Mi piace vederli e sentirli e non ho assolutamente paura di starci sotto, anche quando il cielo dichiara guerra alla terra e scarica chicchi di grandine grossi come noci. Mi è capitato e non mi è successo niente, come se fossi protetto da qualcosa. In verità il temporale lo sento arrivare prima degli altri, quando il cielo è ancora azzurro e i cani non corrono ancora a nascondersi con la coda fra le gambe. Sento una strana energia scorrermi dentro, come un'euforia, mi sento contento come se aspettassi una visita da una persona gradita da un momento all'altro. Quando provo queste sensazioni mi metto alla finestra e scruto il cielo nella direzione da cui sicuramente il temporale arriverà, e sorrido.

Mia madre diceva che sono come mia nonna. Per non farmi diventare come lei, non mi ha mai raccontato niente. Credo l'abbia fatto per tenermi al sicuro.

In punto di morte, mia madre, mi ha fatto dono di una chiave. Una di quelle vecchie, grosse, pesanti e arrugginite, e mi ha detto di tornare alla baita: lì avrei saputo cosa farne. È stato il suo lascito più importante per me. Mi ha regalato la storia che non mi aveva mai raccontato in vita. In un certo senso mi ha regalato il mio passato. Quando quel giorno ormai lontano, dopo il funerale, mi recai alla baita, capii subito quale serratura avrebbe accolto quella chiave. Durante le estati passate alla baita c'era una porta che non si apriva mai, mi era stato detto che dentro c'erano solo cianfrusaglie e per di più si era persa la chiave. Io spesso provai ad aprirla, curiosai tante volte da quell'enorme buco della serratura, ma non riuscii nel mio intento di scoprire il segreto celato. Con la porta finalmente aperta, non potei credere a quello che avevo davanti. Una serie completa di diari, di scatole di cartone grandi e piccole.

Mia madre, dall'età scolare in poi, aveva tracciato una mappa della sua vita con sua madre.

La storia scritta si fermava definitivamente nel giorno del funerale di mia nonna, con alcune postille, datate alcuni anni successivi.

Adesso che sono qui alla finestra e guardo fuori il furore di acqua ed elettricità che si sta scatenando sotto i miei occhi, in pianura, sono più consapevole del perché sono così attratto da questo fenomeno. Mia nonna si chiamava Ermenegilda, ma lei si è sempre fatta chiamare Nina e tutti la conoscevano come Nina dei temporali. Questa è la sua storia, almeno quello che sono riuscito a ricostruire leggendo i diari, e sarà lei a raccontarla, come se fosse la nonna di tutti e non solo la mia...

 

Venni al mondo nel 1900, il primo di luglio, in una giornata caldissima e senza vento. L'afa saliva dalla pianura, risucchiata dall'aria più leggera e rarefatta che si respirava quassù, alla baita.

I vecchi dicevano che una giornata così non poteva finire che con un temporale, magari avrebbe anche grandinato, perché il caldo umido quando incontra il fresco si scatena e tira giù l'ira di Dio. Così fu.

Mio padre, con gli altri falciatori, stava tornando dai prati alti, dove avevano tagliato l'erba per fare il fieno che sarebbe servito alle nostre bestie nell'inverno. Tutti avevano bestie, perciò si lavorava insieme, che il lavoro condiviso è fatica a metà.

Erano quasi arrivati alla borgata che il temporale diede loro il benvenuto.

Mia madre si sentiva strana già dal mattino, le vecchie la tenevano d'occhio perché avevano capito che il tempo di farmi uscire era prossimo. Le acque si ruppero al primo colpo di tuono e io ero già fuori che il decimo colpo non era ancora rimbombato nella valle.

Nacqui in silenzio, vale a dire che quando uscii non piangevo e la donna che mi teneva a testa in giù per aprirmi i polmoni mi sculacciò, ma io niente. Poi accadde un fatto che sarà raccontato per tanti e tanti anni, fino alla mia morte.

Un fulmine colpì il tetto della baita e un braccio s’infilò nella canna fumaria. Arrivò ad accendere la legna che era accatastata e il primo vagito uscì in quel preciso istante. Le donne intorno a mia madre, spaventate a morte per quel cattivo presagio, intonarono subito in coro un rosario con tanto di croci segnate sul petto, il loro ed il mio.

Con il passare dei giorni i temporali erano sempre più frequenti, anche nelle giornate serene e soleggiate. Qualcuno, le solite malelingue, asserivano che i primi borbottii del cielo corrispondevano ai miei pianti. Cominciarono a tener d'occhio la mia casa per controllare queste coincidenze.

Mia madre notò dei movimenti intorno a casa, e lo disse anche a mio padre, ma il primo pensiero fu che, essendo forestieri arrivati da poco, forse, creavamo un po' di disagio in quella piccola comunità.

Anche il prete, convinto dalle parole che giravano sul sagrato dopo la messa, venne alla baita. Voleva benedire la casa e informarsi quando sarei stata battezzata, perché la morte infantile non era rara e non sarebbe stato conveniente presentarsi davanti a Dio con la macchia del peccato originale. A quelle parole, mio padre, contenendo la rabbia, rispose con molta calma ed educatamente che se e quando avessi voluto abbracciare Dio e la sua fede ci avrei pensato io a farmi battezzare. Ma se succede una disgrazia non potrà essere sepolta in terra consacrata, non credete? Mio padre, per tutta risposta, rientrò in casa e prese il fucile da caccia e, sempre con molta calma, spiegò al Don che anche quando si va a caccia di cinghiali possono succedere disgrazie, ben sapendo che quello era uno dei passatempi, fuori canonica, preferiti del prete.

Per un po' lasciarono in pace la nostra casa. E passò l'inverno. E passò l'estate. Così per qualche anno. Poi cominciai la scuola.

Negli anni i miei genitori notarono qualcosa d’insolito, però tenendomi in casa il più possibile non ci furono più manifestazioni da parte dei compaesani, ma venne l'ora di imparare a leggere e scrivere, per cui uscii di casa e cominciai la mia vita sociale.

La mia pelle era molto chiara e i capelli lunghi biondo oro. Mia madre diceva sempre che quando ridevo splendeva il sole, così mi faceva ridere molto spesso.

A scuola, però, i bambini mi schernivano per la mia pelle arrivando anche a tirarmi i capelli e io pensavo alle parole di mia madre. Non dare peso a queste piccolezze infantili, un giorno chi ti tira i capelli potrà aver bisogno di te, allora sarai tu a decidere se è il caso di aiutare o no.

Esplosi quando mi spinsero dentro il recinto dei maiali con il vestitino nuovo, comprato da mio padre in città per il mio compleanno.

Il cielo diventò nero. I fulmini cominciarono a cadere, uno dietro l'altro, nei prati intorno al paese e arrivò una grandinata che nessuno dei vecchi ricordava. Chicchi enormi rasero al suolo ogni orto, qualche vetro andò in frantumi.

I bambini passarono dalle risa sguaiate al pianto per la paura e le botte che la grandine stava distribuendo. Dopo il temporale, molti erano coperti di lividi, alcuni avevano ferite sulla testa.

Io no. La grandine non mi toccava. Arrivai a casa che non ero neanche bagnata, se non del fango dei maiali, e la cosa non passò inosservata.

Appena in casa, mia madre mi abbracciò, facendomi calmare cantando una canzone che era solita intonare quando andavo a letto. Il temporale cessò e una piccola folla si radunò davanti a casa.

Chiedevano di potermi vedere. Volevano spiegazioni. Perché i loro figli erano coperti di lividi e io no, pur avendo la pelle chiara? Qualcuno asserì di avermi vista camminare sotto il finimondo e non esser neppure sfiorata dalla grandine.

Ci costrinsero ad andarcene, avevano paura di me.

Avevo capito di avere un dialogo con i temporali ma non ero in grado di controllare questa cosa, almeno non ancora.

Il giorno della partenza pioveva. Anche nei giorni precedenti, durante i preparativi, pioveva.

Cominciò quando i miei genitori mi spiegarono che la causa dei temporali violenti era la mia rabbia e che avrei dovuto cominciare a controllare i miei sentimenti perché, altrimenti, non ci sarebbe mai stato un posto dove stare tranquilli. Io capii molto bene, ma mi arrabbiai lo stesso. Non come la volta dei maiali, un'esplosione, ma una rabbia sorda, continua, fitta come la pioggia che cominciò a cadere di lì a poco. Durante i nostri ultimi giorni in paese, piovve talmente tanto che cominciavano i primi allagamenti e smottamenti. Il fango s’impadronì delle stradine e il laghetto a monte arrivò quasi a tracimare.

Ci aiutarono con i preparativi per anticipare la nostra partenza e mentre io e mia madre eravamo già sedute sul carro, mio padre si fermò a parlare con alcuni uomini, compagni nelle battute di caccia. C'era anche della brava gente, salutarono mio padre con un abbraccio e ci augurarono ogni bene. Ho visto anche versare qualche lacrima.

Furono anni difficili. Ovunque ci spostassimo, dopo qualche tempo succedeva qualcosa. Eravamo sempre estranei, non riuscendo ad abbattere il muro di diffidenza che gli altri avevano nei nostri confronti. Quando poi i discorsi fatti sul sagrato, dopo messa, mettevano in relazione i miei stati d'animo con i temporali e si univano alle voci che il vento portava da altri paesi, il momento di partire si avvicinava. Si dice che un paese è stato distrutto dalle acque perché la bambina faceva i capricci. Ho sentito che, una volta, è venuta giù grandine grossa come noci perché la bambina si è arrabbiata. Il parroco del paesino di sotto mi ha detto che quando piove, la bambina cammina tranquilla per strada senza bagnarsi. Per tutti cominciai ad essere Nina dei temporali e venivo additata come una strega, senza che nessuno si preoccupasse di chiedere, se non a me, almeno ai miei genitori, se questa storia fosse vera.

Crescendo, cominciai a controllare questi fenomeni, ma le voci su Nina dei temporali che prima ci seguivano, iniziarono a precederci, così che fu sempre più difficile trovare una sistemazione dignitosa in paesi anche lontani. I miei genitori più volte mi proibirono di far piovere, ma con la morte nel cuore, spesso, questo potere sfuggiva al mio controllo e la storia si ripeteva.

Fu così che ci ritrovammo in una baita, isolati dal paese e dalle persone più vicine e per molto tempo non si sentì più parlare di Nina dei temporali.

Riuscii anche a innamorarmi, malgrado l'isolamento. Lui era un giovane pastore che tutti gli anni saliva ai pascoli passando vicino alla nostra baita. Era solito fermarsi qui a riposare per partire al mattino successivo per l'ultimo tratto del suo viaggio. La prima volta che lo vidi stava parlando con mio padre, chiedeva se poteva fermarsi con il gregge a dormire fuori dalla nostra casa. Mio padre si fece una sonora risata e lo invitò in casa. Io stavo accendendo la stufa per la cena, mia madre era nell'orto. Alla notizia che quel bel ragazzo si fermava a cena, mi diventarono rosse anche le mani. Al mattino facemmo colazione con latte di capra appena munto, poi lo accompagnai ai pascoli.

Era un piacere dialogare con lui, aveva letto molti libri e su questo trovammo un punto in comune. Mio padre quando scendeva in città cercava di trovare sempre una lettura per me. Aveva scovato, non so come, un’anziana professoressa, che prestava i suoi libri a chi leggeva volentieri.

Ogni tanto salivo ai pascoli, portando un libro che avevo già letto per lasciarlo al giovane pastore e tornavo giù con un po' di latte, un po' di formaggio e una strana sensazione nello stomaco.

Lui mi chiamava Ninetta e un giorno gli raccontai la mia storia. Hai mai sentito parlare di Nina dei temporali? Certo! disse ridendo. Sono io. Mi guardò, serio. Poi mi abbracciò. Tu per me sei Ninetta e basta. Non ci sono temporali, oggi c'è solo il sole.

Quando sei felice i giorni passano in fretta, quasi fosse un male sentirsi bene, così che nel giro di pochi mesi mi ritrovai sposata a Richard, il mio pastorello. Lui era molto credente e io abbracciai la sua fede per poter stare con lui.

In inverno vivevamo con i miei genitori; avevamo ingrandito la baita e c'era lo spazio per gli animali. In estate stavo con lui nei pascoli alti.

Ormai ero in grado di controllare i temporali perciò cercavo, per quanto possibile, di far piovere nei periodi più aridi per avere sempre pascoli verdi e rigogliosi e orti sempre produttivi.

Quando il periodo di siccità si prolungava per troppo tempo, andavo in pianura, per aiutare i contadini che avrebbero perso i loro raccolti, ma cercavo di rimanere nascosta per non farmi riconoscere.

Gli occhi della gente, però, vedono anche se non guardano, e il vento, come era già stato in passato, porta voci distorte. Non sempre la causa dei temporali ero io, ma ogni volta che una grandinata distruggeva un orto da qualche parte, veniva fuori Nina dei temporali e la sua furia distruttrice.

I più temerari salirono alla baita, dai miei genitori, a chiedere spiegazioni. Loro negarono sempre per paura di dover abbandonare quel posto che ormai chiamavamo casa e in cui stavamo in pace da parecchi anni.

Nacque una bambina, Viola, il cui nome venne spontaneo, dato che arrivò nel periodo delle viole. Pelle chiarissima, lentiggini sul naso e capelli rossi come suo padre.

Avevo il terrore di averle trasmesso la mia anormalità. Ad ogni suo pianto correvo fuori a vedere, o sentire, se un temporale era in avvicinamento. Non era così; Viola era una bambina normale ed io ero felice che, ciò che vivevo come un problema, sarebbe morto con me.

Nina dei temporali passò di nuovo nell'oblio. Nessuno parlava più della donna che era in grado di abbattere la potenza del cielo in terra e Viola crebbe nella pace e serenità di una famiglia normale.

Non le raccontammo niente, non volevamo renderla complice di un segreto, come una vergogna di cui non avevamo colpa, ma le leggende sono dure a morire e come il fuoco che dorme sotto la brace ha bisogno di un soffio per uscire allo scoperto, così la storia di Nina dei temporali saltò di nuovo fuori.

Era il periodo scolastico. Decidemmo che Viola dovesse avere una vita diversa dalla nostra e lo studio l'avrebbe allontanata da quel mondo di sacrifici e duro lavoro.

La indicarono come la figlia di Nina dei temporali, prendendola in giro ed emarginandola. Lei soffriva e, un giorno, tra le lacrime mi chiese il perché.

Dovemmo raccontarle tutto, ma come dopo un temporale appare l'arcobaleno, così apparve un sorriso che riportò la serenità nella nostra famiglia.

Gli studi portarono Viola in città, ma la storia portò la guerra nelle nostre vite. Lei tornava a trovarci tutte le volte che poteva, ma capimmo che non sarebbe più venuta a vivere qui, tra i monti. Ci rallegrammo per questo, perché la sua vita in città la allontanava dalla mia ombra, ma al tempo stesso arrivò la tristezza. Non l'avremmo vista diventare donna e non avremmo potuto aiutarla a crescere i suoi figli.

Durante la guerra, Nina dei temporali, si fece di nuovo viva in alcune occasioni. Come altre volte cercai di aiutare senza dar troppo nell'occhio, ma questa volta un male peggiore incombeva sulle teste di tutti, perciò il vento malpensante non si alzò.

Feci piovere su alcune case che erano state incendiate, giù in paese, limitando i danni e salvando i pochi averi che queste persone avevano.

Salvai un gruppo di partigiani che scappavano dalle truppe tedesche creando una piccola alluvione in un torrente della valle, in quel momento quasi secco. La corrente che si venne a creare era troppo forte e i tedeschi rinunciarono.

La guerra portò via i miei genitori, ormai molto vecchi. Non sopravvissero a quel periodo così buio. Li uccise la tristezza e la malinconia. Prima si ammalò mia madre, poi mio padre, pochi mesi dopo. Non arrivarono a vedere quella primavera del '45 che portava, oltre ai fiori e alla voglia di ricominciare, tanta speranza.

I primi anni del dopoguerra si respirava un'aria di rinascita. Io badavo alla casa e davo una mano a Richard con gli animali che poco per volta tornavano ad essere numerosi e si poteva rifare il formaggio in quantità da poterne anche vendere a chi passava. Richard non lasciò mai andare nessun altro ai pascoli alti, era la sua vita e non voleva rinunciare a quegli spazi aperti. Nina dei temporali viveva in pace con il mondo e il mondo con lei. Poi arrivò il 1956.

Sul finire dell'estate, quando Richard e tutto il gregge erano ancora su ai pascoli alti, arrivò il temporale più violento che riuscii mai a vedere. Questa volta non era colpa mia.

Il cielo già dal mattino non prometteva niente di buono. Era passato dal giallo oro al grigio piombo.

Il temporale cominciò a manifestarsi sulle cime, i rigagnoli d'acqua si gonfiarono velocemente. A casa non ero tranquilla. Sentivo l'energia scendere e sapevo di non poter fare niente. Salii in fretta, per dare una mano, ma arrivai giusto i tempo per vedere il fulmine colpire Richard mentre cercava di far entrare pecore e capre nel ricovero. Vidi il sole sbattere per terra, un rombo assordante e la morte in faccia. Io che ero Nina dei temporali ero impotente di fronte alla natura che tante volte ero riuscita a manipolare. Il dolore mi fece cadere in depressione. Dopo il funerale non uscii più di casa e il cielo rimase grigio per tutto l'inverno. Quell'inverno verrà ricordato come il più rigido e nevoso di tutto il secolo.

 

Nina dei temporali si spense qualche anno più tardi, in silenzio. Proprio come un temporale che poco a poco si allontana e i suoni si affievoliscono fino a non sentirsi più.

Quando se ne andò, ero in camera sua con mia madre, vicino al letto. L'ho letto nei diari, perché ero troppo piccolo per ricordarmelo e credo che una parte della sua anima mi sia entrata dentro, come il fulmine in quel lontano giorno di luglio.

Ecco perché sono così attratto dai temporali.

 

 

Autore: Stefano Secci
Data: 03 apr 2016