UNA NOTA STONATA

Da bambino il suo gioco preferito era quello di riprodurre suoni con gli oggetti più disparati, con strumenti musicali inventati da lui, per esempio faceva tintinnare i bicchieri, dando suoni diversi a seconda se erano riempiti con più o meno acqua, battendo cucchiai di legno sulle pentole di cucina, soffiando dentro una canna trovata in giardino e incisa su diversi punti.  Un giorno trovò nel ripostiglio dell'orto i raggi della ruota di una bicicletta che non c'era più, li legò ad uno sgabello sfondato e si inventò una specie di chitarra. Se sentiva una melodia, la canticchiava subito dopo, perfettamente intonato, e così via.  Marcello, questo è il suo nome, fu iscritto al conservatorio di Catania, dove divenne un pianista eccellente. Non ebbe nessuna difficoltà negli studi, perché possedeva, come gli dissero i maestri, il cosiddetto “Orecchio assoluto”, vale a dire quella capacità di identificare esattamente una nota musicale senza l'ausilio di nessun suono di riferimento, tipo il diapason.

Marcello, figlio di pescatori, aveva fatto un gran salto di qualità a livello sociale, la sua dote musicale lo portò ad esibirsi molto presto in pubblico ed a incantare centinaia di persone, guadagnando anche parecchio.

La natura era stata molto generosa con lui, perché, oltre al dono dell'orecchio assoluto, Marcello era un uomo affascinante: alto, snello, uno sguardo magnetico ed un sorriso irresistibile.

Su tutto dominava poi il senso dell'ironia, dello humor, dell'autocritica. Era un tipo un po' nervoso, quello sì, si accendeva presto ed era possessivo. Come molti artisti era egocentrico e pretendeva e di focalizzare su di sé tutte le attenzioni.

Si sposò presto e mise su famiglia.

La moglie Giovanna, molto in carne dopo le gravidanze, per non dire obesa, lo adorava, come una fan adolescente e quando gli impegni famigliari glielo permettevano, lo seguiva nelle sue tournée. È chiaro che ormai lo faceva di rado.  Il figlio Antonio di tredici anni e la figlia Elisa di dieci dovevano essere seguiti in questa loro età difficile.

Un giorno Marcello fu colpito da una terribile otite. La cosa spaventò tutti quanti e lui non riusciva più a dormire di notte. Dopo un paio di giorni di questo tormento, Marcello disse a Giovanna

“Gio', guarda che oggi vado al pronto soccorso, non ce la faccio più, voglio che mi visitino a fondo e che risolvano in fretta questo problema. Non posso resistere così”, e mentre glielo diceva, già si stava infilando il cappotto.

“Marcé, aspetta, vengo anch'io, ti accompagno!”   gridò Giovanna dal bagno.

“Ma no, no, sono già pronto, lascia stare, non sono moribondo, e poi chissà quanto ci sarà da aspettare al pronto soccorso. Stai a casa e fai con comodo le tue cose, spero tornare presto, ne ho due scatole!...” e così dicendo, uscì di casa, sbattendo la porta.

L'ospedale era vicino e Marcello lo raggiunse a piedi, dopo quasi un'ora di attesa, fu chiamato dall'infermiera dell'otorino, un'esile ragazza con grandi occhi verdi e un timido sorriso.

“Buon giorno, si accomodi su quella poltrona, il medico arriva subito, intanto prepariamo la cartella. “ e così dicendo l'infermiera si sedette alla scrivania, che era in fondo alla stanza, e si mise a scrivere. Era esile e il camice bianco cascava morbido su quel corpo giovane e nervoso. Le mani piccole, si muovevano veloci e sicure.

“Che sintomi ha?” gli chiese, senza alzare gli occhi dal foglio.

“Sono due giorni che mi martella un dolore all'orecchio destro, non c'è antidolorifico che possa alleviarmi questo tormento. Ci sento anche meno del solito e sono molto spaventato”.

“Stia tranquillo” rispose, sempre concentrata nel prendere appunti “il medico è bravissimo, è uno dei migliori otorino della zona, vedrà che risolverà tutto!” e lo disse con tale pacatezza e convinzione, che Marcello già si sentiva meglio.

Entrò il medico, un omone grande e grosso, con delle mani che parevano quelle di un macellaio. Non prometteva nulla di buono, ma è proprio vero che l'apparenza a volte inganna.

Visitò Marcello con cura e attenzione, le sue mani erano leggerissime, nonostante la loro dimensione, e la sua voce era calda e profonda.

“Sì, è una brutta otite, capisco che lei abbia tutto questo male, ma vedrà che con l'antibiotico giusto e dell'aerosol andrà tutto a posto!”

 “Lo pensa davvero, dottore?” chiese Marcello quasi supplicando.

“Ma certo, ne sono convinto, è sicuro, ma perché così tanta paura?”
“Sa dottore, sono un pianista e la settimana prossima darò un concerto, che per me è molto importante; se ho mal d'orecchi, non riuscirò a fare nulla, mi capisce, vero?”
“Ah, capisco, capisco, abbiamo un musicista! Hai sentito Claudia? Questo signore è un pianista, dobbiamo prenderci cura delle sue orecchie, sicuro! Ma vedrà, fra qualche giorno si sentirà già meglio, non dubiti” e così dicendo  andò a scrivere la ricetta.

“Torni tra tre giorni, signor Corsini, ma segua scrupolosamente le mie istruzioni. Claudia, provveda a prendere l'appuntamento, che sia fra tre giorni, mi raccomando”, così dicendo il medico porse la mano a Marcello e salutò.

Claudia prese l'agenda e chiese: “a che ora preferisce venire giovedì?”

Finalmente Claudia alzò gli occhi e guardò il pianista.

Marcello si sentì invadere da un desiderio improvviso, desiderio di prenderla tra le braccia e sentire il suo profumo, ma rispose pacato “faccia lei, per me va bene qualunque orario, giovedì mattina sono a casa a studiare”.

“a studiare? Beato lei, chissà che cose belle riesce a suonare?”

“Se vuole, la invito al mio concerto, giovedì Le posso portare un biglietto, che ne dice?” le parole gli uscirono così dalla bocca, spontaneamente, istintivamente. Si meravigliò della sua intraprendenza.

“Oh, magari, davvero, potrebbe farmi questo piacere? Ne sarei veramente felice, è tanto che non vado ad un concerto, chissà che emozione!”

“Ma, speriamo che sia una bella emozione per lei, allora, facciamo così, ci vediamo giovedì con il biglietto”.

Uscì dal reparto senza nemmeno accorgersi di attraversare corridoi e saloni. Anche il dolore all'orecchio tacque per alcuni minuti.

Ma che stava succedendo? Una piccola infermiera era riuscita a polarizzare tanto la sua attenzione e a risvegliare tanto desiderio?

“Ciao Marcè, e allora? Quanto tempo sei stato!  Che ha detto il medico? E' una cosa grave?” Giovanna lo assalì di domande appena mise piede in casa.

“Calma, calma, Giovà, che già sono agitato io! E' una brutta otite, come pensavamo, e fra tre giorni devo tornare al controllo. Mi ha dato antibiotici, aerosol e mi ha detto di stare tranquillo. Sì, tranquillo, un musicista con un'otite non può stare tranquillo!”

“Dai, su, non fare così, dammi le ricette che ci penso io alla farmacia. Tu intanto riposati un po', io vado e torno, va bene?” così dicendo, gli prese le ricette e gli scoccò un bacio, Giovanna, sempre ottimista e allegra, vestita con quella palandrana informe, come informe era ormai diventato il suo fisico.

 

Le cure fecero effetto e dopo due giorni il pianista iniziò a sentirne i benefici. I suoni forti non gli davano più così fastidio e il dolore non era più martellante. Si poteva ben sperare, no?

Giovedì mattina si preparò con cura, ma perché con così tanta cura, più del solito, manco andare ad un concerto alla Scala? Non voleva pensarci, non voleva confessarlo nemmeno a sé stesso, non voleva credere che una ragazza come Claudia avesse monopolizzato i suoi pensieri.

“Oh, si accomodi, pianista!” esclamò il medico aprendo la porta e vedendo Marcello in sala d'attesa.

Ma com'è che oggi mi riceve il medico direttamente, e Claudia? Non c'è? Come mai, dovevo anche darle il biglietto per il concerto?

“come si sente oggi” continua il medico, mentre Marcello vorrebbe solo chiedere di Claudia.

“meglio, meglio” risponde quasi distratto, “mi sento meglio”

“Su, vediamo” e così dicendo, prese il suo otoscopio con tanto di lucina.

“Sì, sì, va proprio meglio, bene, bene, continui con questa terapia altri tre giorni e vedrà che andrà tutto a posto!”

“Quando devo tornare, dottore?”

“mah, se si sentirà bene, non è più necessario, la cura è corretta, quindi non avrà più bisogno!”
“però sa, dottore, con la mia professione non si scherza, vorrei comunque un ulteriore controllo” così insistendo, Marcello sperava di avere ancora una chance per rivedere Claudia.

“ma se vuole, venga giovedì prossimo”

“Lo segna Lei sull'agenda, dottore, o devo aspettare la Sua infermiera?”
“no, segno io oggi, Claudia non c'è”

Marcello avrebbe voluto chiedere come mai Claudia non c'era, cosa le era successo, quando l'avrebbe rivista, la settimana successiva ci sarebbe stata? Ma non osò dire nulla e se ne andò, con il suo biglietto per il concerto ripiegato in tasca.

 

Tornato a casa, trovò Giovanna ai fornelli, allegra e indaffarata come sempre. “Amore, allora? Che ti disse l'orco?” (Così chiamava l'otorino, dopo le descrizioni fatte da Marcello!)

“Tutto bene, tranquilla, per ora non diventerò sordo.”

“Bene, allora facciamo festa, ti ho preparato al pasta al forno. Beh, che è sta faccia, sembra che tu venga da un funerale, su con la vita, hai visto che ti sei disperato per nulla, vedrai andrà tutto a posto e tu farai un concerto stupendo sabato prossimo!”

“Speriamo” bofonchiò Marcello e andò in studio a fare un po' di prove.

Finalmente arrivò il giovedì e di nuovo Marcello si preparò con cura, e si recò all'ospedale con largo anticipo.

La sala d'attesa era affollata e faceva un caldo insopportabile, ma Marcello volle restare nella stanza per vedere se  la porta dello studio l'avrebbe aperta il medico oppure se c'era Claudia.

 Dopo pochi minuti il paziente uscì e sulla soglia comparve la ragazza.

Marcello non ci poteva credere, si sentì emozionato come un ragazzino, invaso da un desiderio di lei ancora più grande della volta precedente.

Finalmente arrivò il suo turno. L'otorino dalle grandi mani lo visitò sempre con la massima cura e gli disse che ormai si poteva ritenere guarito, non necessitava un'ulteriore visita.

Si salutarono e Marcello fu accompagnato da Claudia fin sulla porta. Quasi all'ultimo momento, il pianista tirò fuori dalla tasca della giacca il biglietto del concerto e bisbigliò “Spero possa venire a sentirmi e se avrà il tempo, venga a salutarmi in camerino dopo il concerto” le mise il biglietto in mano e senza voltarsi, attraversò in tutta fretta la sala d'attesa.

 

“Dai, Giovanna, preparati, è tardi, dillo anche ai ragazzi, lo sai che devo andare prima per le prove finali, che fate, mi fate far tardi?” così urlava Marcello dal bagno alla sua famiglia sabato pomeriggio.

“Oh tesoro, non me la sento, ho un dolore alla cervicale che mi devasta, ho anche tanta nausea e non sto in piedi. I ragazzi poi hanno impegni con la piscina e il basket. Che dobbiamo fare, Marcello, non ti offendere, ma stavolta non veniamo, sarà per la prossima, non ti offendere, tesoro, ma rischierei di vomitare addosso al mio vicino!”

“Per carità, Giovanna, lascia stare, se non stai bene... mi spiace per i ragazzi, ma capisco anche loro, ormai è diventata un po’ una routine venire ai miei concerti, hanno perso d'interesse.”
“Ma no, non dire così, Marcé, non essere permaloso; ma non ce la si fa, non farmi stare in pena e non mettermi il muso.”

“Ma che muso e muso, ho altro a cui pensare, lasciami andare, che faccio tardi.” E senza degnarla di uno sguardo, infilò il cappotto e la porta di casa.

 

La sala dell'auditorium era affollatissima, non c'era più una poltrona libera e Marcello ne fu molto felice. Chissà se fra tutte quelle persone c'era anche Claudia? Volle credere di sì e volle suonare per lei.

Il concerto n° 2 di Cajkovskij era molto impegnativo, ma Marcello lo suonò con passione e trasporto, leggero e sereno come mai lo era stato.

Il pubblico lo applaudì con foga per diversi minuti e li si sentì bene, soddisfatto, felice. Rientrò in camerino con la testa confusa e pieno di orgoglio per quello che era riuscito a fare. L'orchestra impeccabile lo aveva accompagnato in modo perfetto.

Arrivò al camerino senza guardarsi intorno, ma davanti alla porta trovò lei, la esile, giovane Claudia. La fece entrare senza parlare, richiuse la porta e le prese le mani. “Sei stato grandioso, Marcello!” Era passata al tu, così, con naturalezza, spontaneamente. “Grazie!” bisbigliò Marcello, e la abbracciò. Fu un attimo e poi si smarrì nel suo profumo, nella sua giovinezza.  Capì che Claudia sarebbe stata sua, perché così lei voleva.

Fu una passione improvvisa, inattesa, travolgente, che gli fece perdere la testa, gli fece dimenticare responsabilità e promesse. Non poteva farci niente, era così. Pensava solo a lei, contava i minuti per vederla, per poterla abbracciare, per poterla baciare, amare.

Claudia era sempre disponibile, sempre affamata dei suoi baci e gli si dava con tanta passione, che lui mai avrebbe immaginato potesse esistere un trasporto così.

 

S’incontravano in una mansarda nel centro storico della città: lei la addobbava, la profumava, cambiava la biancheria, la considerava come casa sua, come casa loro.

Passò così tutto l'inverno, arrivò la bella stagione e Claudia avrebbe voluto andare nei giardini, al mare, a passeggiare sotto i portici con lui, ma Marcello era troppo conosciuto in città, troppe foto sui cartelloni pubblicitari e sulle riviste. Il loro doveva restare un amore nascosto e sacrificato.

Non poteva abbandonare Giovanna, come avrebbe potuto? Giovanna, così sorridente, così affettuosa e disponibile. Giovanna, la madre dei suoi due meravigliosi ragazzi.

 

”Domani non ci sarò, Marcello, ho un impegno, porta pazienza”, così  esordì un giorno Claudia.

“Come non ci sei, e dove vai?”

“Ho un impegno, te l'ho detto, non insistere, avrò diritto di avere un giorno libero anch'io o non me lo permetti?”

“Ma che c'entra, giorno libero o no? Mi nascondi qualcosa se non mi dici qual è questo impegno.”
“Ma no, non ti nascondo niente,  voglio fare una cosa da sola.”

“Ma perché da sola, su dai, c'è qualcosa che non va?”

Claudia stette un momento in silenzio poi quasi stizzita rispose: “Qualcosa che non va?! Sono stufa di questa vita segregata, nascosta, clandestina, Marcello, voglio vivere, vivere alla luce del sole, vivere come tutte le ragazze della mia età, voglio sentirmi libera di fare due passi con te, di fare una vacanza con te, di fare un Natale con te, possibile che non lo capisci?”

Poi tacque, per non mettersi a piangere.

“Ma che dici? Io ti posso dare tutto quello che vuoi, ti posso comprare ogni cosa, ti posso amare all'infinito, ma certe cose, lo sai, non si possono fare, non è che non le voglio fare, ma non si possono...”
“Sì, sì , me l'hai già detto mille volte ed ora voglio sentire un'altra musica!”

“Cosa vuoi dire, Claudia, spiegati, c'è un altro nella tua vita, dimmelo.”

“Ma che ti devo dire, tu hai una famiglia, moglie, figli, parenti ed ora ti metti a fare il geloso. Sì, c'è un altro, certo, non posso sempre accontentarmi di questa vita a metà”.

Marcello piombò a sedere sulla poltrona, annichilito, violentato da questa frase.

“Ma come.. un altro, ma chi è, quando l'hai incontrato, quando mi hai tradito?”
“Senti chi parla di tradimento, un altro sì, te l'ho detto, e se vuoi saperlo è un uomo libero e lavora in ospedale con me. E' un cardiochirurgo, e con questo ti ho detto tutto e forse è bene finirla qui, senza scendere in discussioni penose e inconcludenti”.

“Ma come, finirla qui, ed io come farò?” Queste furono le uniche parole che Marcello disse, poi si sentì esplodere dentro una disperazione infinita, una solitudine mai provata prima. Non si accorse neppure che Claudia era già uscita e che quella serata era ormai rovinata.

Quanti giorni passarono nell'apatia più totale, nella desolazione dell'anima, nella solitudine. Non riusciva più a parlare, ma soprattutto non riusciva più a lavorare.

Doveva rivederla, da quella sera non l'aveva più vista, non aveva osato richiamarla, cercarla.

 

Andò nello studio medico, sperò di vederla dall'otorino e si mise in sala d'attesa.

Claudia era là, al suo posto, come sempre e come sempre lui fu invaso da uno smisurato desiderio di lei. Quando tutti i pazienti furono visitati, Marcello le andò in contro e la pregò di regalargli qualche minuto dopo il lavoro.

Claudia parve stupita nel rivederlo e non seppe dirgli di no.

All'uscita dall'ospedale, Marcello l'aspettava in macchina.

Claudia salì e partirono alla volta del mare.

“Andiamo al mare, là non c'è nessuno ora e possiamo parlare meglio,” le disse

“Parlare di che, Marcello, ormai le cose sono chiare no? E' stata una bella storia, ma non si può continuare, lo capisci, vero?”

“Sì, hai ragione, lo capisco, ma sto malissimo, malissimo, non ce la faccio, Claudia”

Arrivarono alla spiaggia e Marcello fermò l'auto. Guardò la ragazza con tutto l'amore che provava, la contemplò, lei così bella, così fragile e così spietata.

“Sei sicura di non voler tornare, Claudia, ti prometto che prenderò dei provvedimenti, che farò qualcosa per renderti felice”

“Lascia stare, Marcello, non ci può essere armonia nel nostro rapporto organizzato così, tu ne capisci di armonia e quindi capirai che per noi è impossibile averne.”

Non osava dire più nulla, non osava toccarla, perché rischiava di mettersi a piangere e non avrebbe voluto diventare patetico.

Passarono parecchi minuti in silenzio, poi lei disse: “Marcello, me  ne vado, è meglio così, lasciami andare, me ne torno a piedi, non ti preoccupare” aprì la portiera e scese dall'auto. Marcello non disse nulla e la vide allontanarsi sulla spiaggia.

“Voltati, Claudia,” pensava. “Voltati, non abbandonarmi così, voltati, sono perduto senza di te; se ti volti mi dai, ti dai una speranza, su forza, girati, guardami, ascoltami, tu che mi leggevi nel pensiero, perché ora non  mi senti...”

Il mare era calmo, la spiaggia deserta in quell'ora serale, solo un colpo secco, fortissimo, rapido, una nota stonata nell'armonia di quel paesaggio e la schiena di lei s'inarca, allarga le braccia, rovescia all'indietro la testa e crolla sulla sabbia. Silenzio.       

Autore: Piera Passon
Data: 05 mar 2016