VITA SEGRETA DI UN ALIANTE
Chi mi conosce lo sa: sono Glaser Dirks, monoposto incallito, solo alte prestazioni, ho un anemometro che lèvati, un altimetro infallibile, una bussola bella tonda e un corpo in vetroresina liscio come il culetto di un bebè. Li vedo i vostri sguardi, sapete, ma non cedo, sono un monoposto e non ce n'è per nessuno. Posso farvi girare l'elica, fluttuare tra le nuvole e scherzare coi raggi di Helios, ma se allungate le vostre ali io ritiro il mio carrello e fuggo nel vento.
La cosa di cui sono più orgoglioso è il tettuccio in plexiglas, ampio e affusolato; da lì posso vedere tutto il mondo, da lì ho visto cose che voi umani non potrete vedere mai, neppure da un Boeing 787.
Mi piace gareggiare coi falchi e scherzare con le cime degli alberi con il vento che mi accarezza i fianchi. Poi, al rientro, mi infilo nell'hangar e resto solo. Questo è il destino di tutti i monoposto.
Papà Briegleb me lo diceva sempre: la nostra condanna è di dormire sempre da soli. Ma papà era di legno ed era nato negli States, io sono nato nell'antica Slovenia, dove si suona la fisarmonica: voglio dire che io un po' di romanticismo, in fondo, lo sento. Non ho un cuore vero e proprio, ma ho un virosbandometro, uno di quegli aggeggi che ti salvano dalle sbandate, è come una livella che misura l'accelerazione, la forza centrifuga e centripeta e con lui ti puoi rimettere in carreggiata. Non ho mai perso la trebisonda io, mai fino a quella sera di fine estate.
Planavo dolcemente verso casa, era stato un giorno senza grosse emozioni, quando una folata improvvisa mi ha riportato in alto, e l'ho vista; all'orizzonte, proprio a destra del Monviso. Rosa, di quel rosa che scalderebbe il cuore, se ce l'avessi, tonda e morbida che mi sarei tuffato dentro, dopo essermi presentato, beninteso. Nel silenzio più totale è partita una musica di violini, ma sono sicuro, ho sentito anche una fisarmonica.
Avrei fatto giravolte e avvitamenti, picchiate e ondeggiamenti, ma la bussola impazzì e dentro sentii tutto un trambusto di componenti in carbonio. Mi accorsi che stavo perdendo quota e le ali sbatacchiavano come braccia di spaventapasseri nella tempesta. Una condizione per niente decorosa. Cercai di riprendere quota e per un attimo la vidi ancora, poi, più nulla. Quella notte è stata la più buia della mia vita. A mezzanotte o giù di lì scoppiò un temporale pazzesco di lampi e fracassi di tuoni. Assurdo, il cielo era stato così pulito durante il giorno!
Nei giorni seguenti fremevo in attesa dell'apertura dell'hangar, ero come impazzito, la volevo, non potevo pensare ad altro che a lei. Mi ribellavo alle correnti e alle manovre del mio pilota, rischiando molte volte di precipitare sui campi bruciati dal sole o nel grande fiume. Rincorrevo ogni velatura rosata. Inutilmente. Mi tornano in mente le parole di papà: non innamorarti mai, mai figliolo, o soffrirai le pene più strazianti, resta fedele al tuo destino di monoposto. Ma che ne poteva sapere lui, io vivevo proiettato nel futuro, dove tutto è possibile. Forse.
Papà non c'è più, è stato rottamato in un magazzino di Grugliasco, ora più nulla mi trattiene qui, domani partirò presto, verso ovest, attraverserò il grande oceano, se necessario, e continuerò a planare alla ricerca della nuvola più bella che io abbia mai visto. Lo so, non crediate che io sia uno sprovveduto, so che le nuvole sono impalpabili, incostanti, evanescenti, capricciose, ma non posso rinunciare a lei. La cercherò fino all'ultimo alito di vento.